Con un cast superbo, il regista Gabriele Mainetti è riuscito a creare in Italia un film di genere giudicato con superficialità, ma ricco di significato: i supereroi sbarcano a Roma, proprio quando c’è bisogno di loro
Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) è un piccolo delinquente di Roma, una città nell’anarchia, dove scoppiano bombe non rivendicate. Scappando dalla polizia si butta nel Tevere, finendo però dentro un barile di materiale radioattivo. Stremato, torna a casa, una casa squallida e deprimente, con dvd porno sparsi in giro e nel frigo soltanto budini. Coinvolto da un vicino di casa in un’azione criminale, lo vede morire e scappa, ma anche lui sarebbe dovuto morire: comincia a capire che quel materiale radioattivo gli ha conferito dei superpoteri, una forza sovrumana, che lui inizialmente sfrutta per le sue azioni criminose di ladro.
Accade che la figlia del vicino, Alessia (Ilenia Pastorelli), rimasta completamente sola, riconosce in Enzo un supereroe di un anime: Hiroshi Shiba di “Jeeg Robot d’acciaio”, per il quale ha una ossessione. Alessia non è una bambina, ma è come se lo fosse, ferma ad uno stato infantile a causa di traumi troppo forti; Enzo la prende in casa con sé, sentendosi responsabile per la morte del padre. Lei vorrebbe che lui sfruttasse i superpoteri per aiutare le persone, non per le rapine: “‘A gente, ‘a gente, è pe’ questo che c’hai i poteri! Li devi salvà, li devi salvà tutti!”.
Intanto però il piccolo boss del quartiere, Fabio detto “Zingaro” (Luca Marinelli), si mette sulle tracce di Enzo, che gli ha soffiato il bottino di una grossa rapina. Lo Zingaro è il cattivo per eccellenza, violento e con manie di grandezza: vuol “fare il botto”, allearsi con la mafia napoletana, autrice degli attentati, per entrare nella vera criminalità, ma non tutto va secondo i piani. Roma sarà davvero in pericolo quando lo Zingaro scoprirà il segreto di Enzo.
“Lo chiamavano Jeeg Robot” è una storia di cruda violenza, ma anche di inaspettata dolcezza, una specie di commistione tra Gomorra-Suburra e un film della Marvel. Ma è per questo che servono i supereroi: come potremmo mai difenderci noi comuni mortali dal pericolo, dai cattivi che si muovo di notte, dai tumori della nostra società? Come ha spiegato il professore Gino Frezza nell’interessante articolo “Potenze caosmotiche: le mutazioni dell’eroe tecnologico fra fumetti e cinema digitale”, il supereroe (derivato dagli eroi della letteratura epica) rilancia dei “quesiti essenziali che il mito pone da sempre: l’interrogazione radicale sul ruolo che l’essere umano adempie nello scenario del reale”. L’eroe d’acciaio, Hiroshi Shiba, è la risposta dettata dalla speranza ad un mondo distopico. Chiaramente pieno di citazioni – “che t’ha morso un ragno?” – il film del regista Gabriele Mainetti è il primo film di supereroi italiano, ed è decisamente riuscito; gli attori hanno fatto un grande lavoro di preparazione, sia per il fisico, che per la costruzione del personaggio. Speriamo che possa essere considerato un precedente per lavori futuri.
“Lo chiamavano Jeeg Robot” è in programmazione al Multisala Iris alle ore 18:15, 20:25, 23:00; e all’Uci Cinemas Multisala alle 17:00, 19:45, 22:25.
Voto: 7/10
Lavinia Consolato