L'analisi dello studioso Alberto Randazzo (UniMe): "Dalla Resistenza alla Costituzione valori ed etica repubblicana da rinnovare ogni giorno"
Il 25 aprile: riflessioni del giorno dopo. Pubblichiamo una riflessione di Alberto Randazzo (nella foto), professore associato di Istituzioni di diritto pubblico (UniMe) e presidente dell’Azione Cattolica diocesana.
Una premessa. Appena vissuta l’annuale Festa della Liberazione, l’occasione è propizia per appuntare l’attenzione su taluni profili che stanno alla base della convivenza democratica.
L’antifascismo, del quale – opportunamente – negli ultimi tempi si sta molto parlando, permea l’intera Costituzione repubblicana, costituendone lo “spirito”. Non se ne possono infatti dimenticare (o, anche soltanto, sottovalutare) le origini. Se è vero, come ha rilevato Giuseppe Dossetti, che è stata la Seconda Guerra Mondiale la “vera matrice” della Costituzione italiana e “ne ha […] plasmata l’anima”, è anche vero che è stato il grande movimento della Resistenza che ne è derivato, con i valori dei quali si alimentò, che ha reso possibile alla nostra Carta di vedere la luce.
Non è necessario indugiare sul punto, trattandosi di cose a tutti note. Tuttavia, non mi stancherò di sottolineare che fu proprio sul valore antifascista che le tre forze politiche maggiormente rappresentate in Assemblea costituente (cattolici, liberali e marxisti) riuscirono ad incontrarsi, pur partendo da posizioni fra loro molto distanti.
Pertanto, la straordinaria opera che realizzarono i padri costituenti ebbe proprio nella chiara antitesi al regime, e nella conseguente valorizzazione della persona umana (in particolare, nei suoi valori di dignità, libertà ed eguaglianza) il proprio punto di forza.
Uno sguardo ai lavori preparatori della Costituzione italiana
Prendendo spunto da uno stralcio del dibattito che si svolse in Costituente (tra i tanti che si potrebbero richiamare), è da osservare che non a caso, all’affermazione di Lucifero per la quale la Carta dovesse essere “afascista”, ribatté Laconi rilevando che piuttosto “si [dovesse] parlare di Costituzione antifascista”. Anche Togliatti, come riferito dallo stesso Lucifero, era dell’idea che la Carta fondamentale dovesse essere antifascista; con questo “appellativo” – disse il leader del Pci – “intendiamo precisamente dire che la Costituzione ci deve garantire […] che ciò che è accaduto una volta non possa più accadere, che gli ideali di libertà non possano più essere calpestati, che non possa più essere distrutto l’ordinamento giuridico e costituzionale democratico, di cui gettiamo qui le fondamenta”.
Anche Moro osservò che “non possiamo […] fare una Costituzione afascista, cioè non possiamo prescindere da quello che è stato nel nostro Paese un movimento storico di importanza grandissima, il quale nella sua negatività ha travolto per anni le coscienze e le istituzioni. Non possiamo dimenticare quello che è stato, perché questa Costituzione oggi emerge da quella resistenza, da quella lotta, da quella negazione, per le quali ci siamo trovati insieme sul fronte della resistenza e della guerra rivoluzionaria ed ora ci troviamo insieme per questo impegno di affermazione dei valori supremi della dignità umana e della vita sociale”. E ancora: “su questa base di polemica antifascista sembra opportuno affermare la priorità e l’autonomia della persona di fronte allo Stato”.
Chi giura sulla Costituzione dovrebbe dimostrarsi antifascista
Il richiamo ad alcuni dei passaggi del dibattito che si è svolto in Assemblea costituente consente di cogliere il senso che si volle imprimere alla Costituzione italiana, il cui vero significato è possibile comprendere solo leggendone (e interpretandone) il dettato con la “lente” dell’antifascismo che accomunò – come detto – i padri fondatori.
Ecco perché, peraltro, è normale attendersi che coloro che sulla Costituzione giurano a motivo del proprio alto ufficio istituzionale, per non entrare in contraddizione con sé stessi (e, quindi, con il giuramento fatto), ne rispettino lo spirito e si dichiarino apertamente e inequivocabilmente (e, soprattutto, dimostrino di essere attraverso il proprio agire) antifascisti.
Che significa essere antifascisti?
Muovendo da queste considerazioni è possibile allora rilevare che qualunque scelta politica, qualunque comportamento (da chiunque tenuto) che si adotti nella vita quotidiana, qualunque espressione verbale che non sia antifascista si pone irrimediabilmente fuori dal solco tracciato dalla Costituzione italiana.
L’antifascismo è uno stile di vita nel segno della condivisione dei valori costituzionali
Ciò che si intende dire è che l’antifascismo – del quale è permeata l’intera Carta del ’48 – prima ancora che una precisa opzione politica è uno stile di vita ossia un modo di essere, di pensare e di agire che si fonda sulla condivisione dei valori costituzionali, quelli che danno vita alla cosiddetta etica pubblica repubblicana.
Nella quotidianità, l’antifascismo – che tutti può accomunare perché tutti si possono “ritrovare” nella Costituzione italiana (con l’unica eccezione di chi, invece, è ancora legato all’ideologia fascista) – si traduce (o, meglio, si deve tradurre) in gesti concreti che connotino i rapporti interpersonali e che, al tempo stesso, costituiscano diretta e pratica attuazione del dettato costituzionale.
L’identikit dell’antifascista
È allora opportuno chiedersi chi sia una persona antifascista e come si connoti uno Stato che aspiri ad essere tale. Soffermando l’attenzione, per ragioni di spazio, solo sul primo aspetto è possibile tentare una sintesi – senza alcuna pretesa di esaustività – dei connotati che delineano lo “status antifascista”.
L’antifascista, infatti, è colui che rispetta il prossimo in quanto essere umano (a prescindere da chi sia), riconoscendone la dignità e, quindi, i diritti inviolabili e sentendosi agli altri legato da “doveri inderogabili di solidarietà” (cfr. art. 2 Cost.).
L’antifascista è colui che ama la sua e l’altrui libertà, consapevole di doverne rispettare i limiti perché sia possibile una pacifica convivenza sociale (la propria libertà, infatti, finisce dove inizia quella degli altri). L’antifascista è colui che non si sente superiore agli altri, che non pone in essere atti discriminatori (e quindi aborrisce il razzismo), ben sapendo che tutti gli uomini sono eguali davanti alla legge, senza alcuna distinzione (cfr. art. 3 Cost.).
L’antifascismo rigetta l’autoritarismo
L’antifascista è colui che non fa ricorso alla violenza verbale o fisica, ma si apre al dialogo, si mette in ascolto delle ragioni dell’altro perché ne riconosce il valore. L’antifascista, quindi, è colui che rigetta l’autoritarismo, la prepotenza e la prevaricazione aprendosi alla costruzione di relazioni buone. L’antifascista è, quindi, colui che ama la democrazia e sa di non possedere la verità ultima sulle questioni che si trova a dover affrontare; riconosce, quindi, l’importanza del dissenso dei propri interlocutori, quale strumento prezioso per giungere a scelte che siano davvero orientate al bene comune.
Ognuno di noi è chiamato a rendere un servizio alla Costituzione, contribuendo alla sua attuazione
L’antifascista non accentra il potere nelle sue mani ma, specie se ricopre ruoli di responsabilità, “decentra” quel potere e lo condivide con gli altri. L’antifascista, quindi, è colui che non impone con la forza le proprie idee, che non fa della sopraffazione la cifra del suo relazionarsi e che, come detto, non si rende interprete del bene assoluto per sé e per gli altri. L’antifascista è colui che non usa la paura (che, peraltro, contribuisce ad ingenerare) per farsi rispettare ed acquisire consenso. L’antifascista ama la pace e si adopera perché essa si raggiunga all’interno del contesto in cui vive. In estrema sintesi, l’antifascista è colui che non odia, ma ha uno sguardo d’amore verso tutti.
Se si vuole offrire un servizio alla Costituzione, alla cui attuazione siamo tutti chiamati ogni giorno, e se si vuole operare nella fedeltà alla stessa occorre sforzarsi di fare proprie queste e altre caratteristiche comportamentali perché l’antifascismo si inveri nella realtà e non sia solo una parola astratta, “politicamente corretta” ma praticamente “vuota”.
Il presidente Mattarella: “Senza memoria non c’è futuro”
In conclusione, le parole di Sergio Mattarella. Un monito che ci richiama all’impegno. Come ha osservato ieri il presidente della Repubblica, “senza memoria, non c’è futuro”. Ecco perché occorre continuare a ricordare l’orrore, la devastazione, la tragedia che ha provocato il nazifascismo, come ogni regime totalitario.
L’“aspirazione bruta, ignobile, ma anche vana” di sottomettere gli altri popoli che fu della dittatura trovò una reazione in coloro che non si piegarono a tale logica di morte e che animarono la Resistenza, quegli italiani che scelsero “la libertà, al posto dell’imposizione. La fraternità, al posto dell’odio razzista. La democrazia, al posto della sopraffazione. L’umanità, al posto della brutalità. La giustizia, al posto dell’arbitrio. La speranza, al posto della paura”. Per quei nostri concittadini, ma anche per noi stessi e per i nostri figli siamo chiamati a un costante impegno perché quelle conquiste – non acquisite una volta per tutte – vadano onorate e, al tempo stesso, non vadano perdute.
Celebrare la memoria dall’oppressione e farne memoria ogni giorno
Celebrare la Liberazione dall’oppressione e farne memoria ogni giorno non è (e non può essere), pertanto, una pura formalità perché, come ha sottolineato il Capo dello Stato, “il 25 aprile è, per l’Italia, una ricorrenza fondante: la festa della pace, della libertà ritrovata, e del ritorno nel novero delle nazioni democratiche. Quella pace e quella libertà, che – trovando radici nella resistenza di un popolo contro la barbarie nazifascista – hanno prodotto la Costituzione repubblicana, in cui tutti possono riconoscersi, e che rappresenta garanzia di democrazia e di giustizia, di saldo diniego di ogni forma o principio di autoritarismo o di totalitarismo”.
Prendendo in prestito le parole di Aldo Moro, richiamate ieri da Mattarella, è possibile rilevare che “intorno all’antifascismo è possibile e doverosa l’unità popolare, senza compromettere d’altra parte la varietà e la ricchezza della comunità nazionale, il pluralismo sociale e politico, la libera e mutevole articolazione delle maggioranze e delle minoranze nel gioco democratico”.
Se e finché tale unità non si raggiungerà, quanto ora detto rimarrà un auspicio, la cui realizzazione dipende dalla buona volontà di tutti noi.
Alberto Randazzo
Chiamare Meloni fascista potrebbe essere offesivo nei confronti dei veri fascisti ma io rispetto i combattenti della libertà, che ora si ignora e distrugge con troppa nebbia mentale, anche quella è responsabile di una politica che è serva degli Usa.
Siamo veramente alla follia, passiamo le giornate a leggere o a sentire presunti antifasciscisti che ritengono imporre il loro pensiero come fosse il “verbo”!!!
Ma di che antifascismo parlano se negano libertà di pensiero cercando in modo subdolo di imporre il proprio!!! Tutta questa filosofia di pensiero, dannosa, divagante e tendenziosa, allontana sempre di più soprattutto i giovani dalle atrocità che la storia con tanta fatica ci riporta!!
Siamo arrivati al punto in cui la sinistra si è inventata il nemico immaginario pur di trovare il mulino da combattere in stile Don Chisciotte.