Le motivazioni del gip Mastroeni e i passaggi salienti del provvedimento. No al criterio dei 3 minuti, sì alla tenuità del fatto. I reati penali non ci sono, il malcostume sì, le cattive prassi regolamentari anche.
Merita un dibattito in aula, magari non nella saletta commissioni, il provvedimento di 27 pagine con cui il gip Salvatore Mastroeni manda in soffitta Gettonopoli bis.
Con la sottigliezza giuridica e l’ampio respiro culturale che gli sono propri, Mastroeni da un lato censura l’azione penale nei confronti dei consiglieri comunali, appellandosi al principio della tenuità dei fatti contestati e della non ravvisabilità dei reati penali.
Dall’altro, aderisce a buona parte delle considerazioni della Procura che ha condotto le indagini, ma non condivide il criterio dei tre minuti, adoperato per “segnare” la soglia di punibilità.
Ed è per questo, spiega Mastroeni, che ha fatto bene la Militello a chiedere un esame più approfondito della questione. Tuttavia, prosegue il giudice, a norma del codice penale i reati non ci sono. Mastroeni arriva a segnalare più di una volta, nel provvedimento, l’incongruità dell’azione penale, anche per i fatti che sono già al vaglio del Tribunale, nel processo in corso,
C’è però un malcostume imperante, fotografato dall’inchiesta, c’è la prova della volontà di tanti consiglieri di portare a casa il massimo del risultato possibile, se non strettamente in termini economici, sicuramente sotto altri profili, che non son comunque quelli di produrre risultati utili alla città. Un malcostume diffuso che, a proposito delle presenze di commissione, sembra nascere anche a causa dei regolamenti comunali vigenti, che andrebbero rivisti.
“il criterio nasce da una falla volontaria dei regolamenti (unica voce distonica la Fenech) che non prevedono un tempo minimo di partecipazione alle commissioni per dire che vi sia partecipato effettivamente, e ciò a differenza di altri Comuni che sarebbero più virtuosi, per aver dato indicazioni temporali”, scrive Mastroeni, che prosegue: “ Ma non è agevole trovare un fondamento di diritti e di fatto a tale scelta. E peraltro i regolamenti, col richiedere una “partecipazione effettiva”, appaiono al giudice chiedere la presenza tout court e più della presenza, che tale è il significato oggettivo di partecipazione. Diversificare chi sta tre minuti da chi firma e va via diventa esercizio di forma, privo di reali contenuti sostanziali. La vaga (…) comparazione col lavoro privato fa rabbrividire, un lavoro di tre minuti su mezz’ora o peggio un’ora sarebbe da licenziamento assicurato. In un altro passaggio, Mastroeni torna sull’elevato numero di sedute. Lungi dall’integrare i reato di falso ideologico per i verbali delle sedute “inutili”, l’indagine ha provato comunque che “vi sia un numero di sedute sovrabbondante rispetto alle reali esigenze istituzionali, dato ricavabile dal fatto che spesso in commissione non vi sono argomenti da discutere”.
La ingarbugliata normativa regolamentare resta il nodo da sciogliere, secondo il giudice: “La assoluzione ex ante dei segretari e di chi è preposto al pagamento non si comprende né condivide. E ciò senza andare ad approfondire quanti sapessero e con obbligo di denunzia. Restano salve segnalazioni fatte sulla prassi irregolare e quindi eventuale mancanza di dolo per ramificazione verticale dell’accettazione dello status quo.”
Ancora: “Anche le motivazioni dei pm sui presidenti risultato da accogliere. Il caos sistematico, la pochezza delle commissioni, l’approssimazione generale se non impossibilità delle verifiche, la stessa nullità sostanziale di talune presenze, acquiescenza alla presenza iniziale, giustificano conti numerici confusi ed elastici, evidenziano più la inutilità del numero legale e la partecipazione ad una prassi aberrante e comunque massificata, che la volontà di dolo e di un falso”.
Il giudice si richiama poi alla nota di Nina Lo Presti del 25 luglio 2013 sui costi della politica, definendola “un vero e proprio atto di accusa che non salva proprio nessuno”.
Alla fine il giudice, “ripassando” le conversazioni telefoniche di Zuccarello sulla differenza tra sostanza dell’azione politica e forma, le considerazioni della Fenech, le riprese dei lavori di commissione, conclude: “in realtà essi, rispetto alla battaglia fatta, evidenziano più che la minima entità del dolo, proprio la mancanza del dolo, forse un segno di resa. Un rinvio a giudizio in questo caso, ma anche per la Lo Presti, ricorderebbe più che “il processo” la allucinante “metamorfosi” kafkiana."
Alla fine del provvedimento, Mastroeni riassume la sua posizione, “suonando la sveglia” alla classe politica tutta cittadina, “si è cercato cioè, ma perché lo chiede l’applicazione della legge, un punto di equilibrio. Lo stesso, sia pur con motivazioni differenti, ricercato con evidenza dalla Procura della Repubblica nella stessa persona del Procuratore. E ciò senza accogliere pur comprensibili ragionamenti matematici di compensazioni di illeciti con presenze lecite. E omettendo di valutare le tesi relative alla significatività d una presenza comunque in comune, quasi sede allargata delle Commissioni (…). Né appare necessario soffermarsi su presenze in vicinanza dell’aula, su minuti erroneamente contati nei video, né su giacche lasciate e ritirare in aula. Il reato come sistema, per la fiducia e gli effetti, sulla questione della città è grave, la paura di Giletti, della stampa, di una figura misera è fondata. Ma i casi in oggetto sono un residuo, non si può censurare la goccia perché il mare è inquinato, qualche gettone rispetto a stipendi mensili fissi conquistati con le firme al massimo possibile. Lo impone la valutazione giuridica sulla insussistenza di induzioni in errore, lo impone la linea legislativa sull’obbligo di valutare i casi concreti di minima entità. (…) A prescindere da tali limiti giudiziari, invero è che legalità, equità, giustizia, buona amministrazione, e tante speranze e bisogni connessi, sono campi primari di scelta e controllo sociale, della collettività (…) degli enti con i loro poteri amministrativi, e anche dei singoli responsabili, vuoi per l’esempio, vuoi per la denunzia, vuoi per auto scelte che si correlino a responsabilità eventualmente avvertite. Responsabilità autocritica e impegno sono mille volte meglio di lotte su chi sia il peggiore, così come di convergenze e alchimie improprie, che non portano frutto. Ciò con valutazione totalmente e doverosamente avulse da ogni contingenza. Ciò con rispetto e proprio per il massimo rispetto per il valore di un consiglio comunale e di ogni consigliere comunale che adempie al suo incarico con passione e impegno.” Alessandra Serio