A colloquio con Silvia Grasso, autrice messinese del libro evento "La filosofia di Barbie"
Messina – Autrice, ricercatrice, influencer. Ma anche e soprattutto filosofa. Anzi, pop filosofa. Perché la riflessione filosofica sui fenomeni di massa e gli elementi della cultura popolare è ormai sdoganata nel mondo della ricerca scientifica. Poteva quindi mancare Barbie tra i temi da indagare? Certo che no. E a farlo è proprio lei, la filosofa influencer messinese Silvia Grasso, autrice del fortunato libro “La filosofia di Barbie”.
La filosofia di Barbie, un saggio di successo
Il volume è alla terza ristampa, che per un saggio filosofico è un traguardo rilevante, ed è stato presentato alla libreria Colapesce di Messina. Ora Silvia Grasso ha già una lunga lista di presentazioni in altre città italiane, da Bologna a Pavia, dove effettua la sua attività di ricercatrice universitaria, passando per Firenze e Milano ma non soltanto. Altrettanto successo hanno avuto le altre due pubblicazioni dell’autrice, incentrati uno sul libro e film “L’Amica geniale”, l’altro su Michela Murgia. Intanto su Instagram macina follower. Perché anche i filosofi ormai si scoprono influencer e il mondo scopre che i temi “impegnati” piacciono anche agli utenti dei social. Altrimenti che pop filosofia sarebbe?
“Il libro è stato accolto sorprendentemente bene – spiega la giovane autrice messinese -. Sono contenta perché lo stanno leggendo anche tanti uomini, certo già addentrati in certe tematiche. Ma è un riscontro entusiasmante perché io avevo pensato il libro specificatamente per le donne e in particolare quelle della mia generazione. Invece scopro che ha favorito anche in molti uomini una riflessione sugli stereotipi di genere legati proprio al mondo maschile. Sarebbe bellissimo se si aprisse una riflessione tra di loro, sogno un tavolo di autocoscienza maschile, perché no”.
È un libro femminista dunque?
“Io studio il femminismo, mi sono appassionata alla filosofia e mi sono dedicata alla ricerca filosofica, dopo un primo percorso universitario completamente diverso, proprio perché da attivista politica ho deciso di dedicare anche il mio impegno concreto a queste tematiche. Quindi il libro è un po’ come il film Barbie. Un film per bambini che, in realtà, non è soltanto né soprattutto per bambini. Un film per donne che in realtà, attraverso il personaggio di Ken e il suo percorso, invita anche gli uomini all’autoriflessione, appunto”.
Come ci si approccia a un tema mondiale come Barbie, fenomeno peraltro tipico di quella cultura statunitense nei confronti del quale gli europei storcono ancora il naso?
“Preliminarmente ho effettuato una ricerca di mercato sulla diffusione del film, che ha rivelato che in Europa ha avuto la stessa accoglienza statunitense, soltanto sul mercato orientale ha avuto meno successo. E in effetti in Europa, con la sola eccezione della Francia, che ha una attenzione maggiore forse alla tematica femminista e una tradizione di femminismo che è quello degli anni ’70, la cultura tardo capitalista è stata ormai assimilata. Siamo sempre più propensi ad accogliere i modelli che ci arrivano dall’America. E Barbie è un prodotto femministra, la regista Greta Gerwig, autrice anche delle nuove Piccole donne, è una femministra moderrna sempre molto attenta alla riflessione di genere. È quindi un prodotto del femminismo tipico del tardo capitalismo. Io parlo sempre di femminismi, non ce n’è uno soltanto appunto, le correnti sono tante rivendicano istanze radicalmente diverse ma io auspico che trovino una sintesi, mi piacerebbe che si integrassero”.
Quindi Barbie ci piace perché è capitalista come noi?
“Barbie è capitalista ma anche il tardo capitalismo può veicolare messaggi comunque importanti, Barbie rimette in discussione la nostra identità, spinge a trovare la propria voce. Anche Ken, che entra in crisi quando non è più un accessorio di Barbie, lancia un messaggio importante e cerca di aindare oltre la propria identità di genere. Il messaggio è proprio questo, la società ci assegna dei ruoli ma noi possiamo diventare quello che vogliamo essere, è la ricerca del nostro individualismo oltre la pressione sociale”.
La filosofia di Barbie è già un successo. Dove ti piacerebbe che arrivasse? Sul tavolo della Gerwig per esempio?
“Certo che sì – ride Silvia – Mi piacerebbe poterlo portare nelle scuole, poter parlare di questi temi anche con i ragazzi e le ragazze. La riflessione che c’è dietro il libro è relativo alla bellezza, Barbie rappresenta l’icona della bellezza di cui noi donne siamo vittime, i canoni estetici e la mercificazione cui tutti noi siamo soggette. Ma è anche portatrice di messaggi diversi, di contraddizioni che sono anche le nostre. Tocca a noi trovare il modo di metterle insieme”.
Brava.