Condanne pesanti invocate alla fine del processo nato dall'operazione Inganno: niente sconti anche per i "dissociati"
Messina – Sono richieste di condanna pesanti quelle avanzate dal procuratore aggiunto Vito Di Giorgio per capi ed esponenti del clan di Barcellona alla sbarra per 13 esecuzioni di mafia datate, i cui retroscena completi sono stati svelati con l’operazione Inganno dello scorso 10 gennaio.
Le richieste di condanna
Dopo aver depositato una corposa requisitoria scritta firmata coi colleghi della Dda Fabrizio Monaco e Francesco Massara, il Pubblico Ministero ha formulato le richieste di condanna: ergastolo per lo storico boss Giuseppe Gullotti e il reggente Sam Di Salvo, 30 anni per Stefano “Stefanino” Genovese, Vincenzo Miano, Carmelo Mastroeni e Giuseppe Isgrò. Chieste le condanne anche dei collaboratori di giustizia: 15 anni per Carmelo D’Amico, 12 anni per Salvatore Micale.
A decidere sarà la giudice per l’udienza preliminare Arianna Raffa dopo aver ascoltato anche i difensori, gli avvocati Tommaso Autru Ryolo, Diego Lanza, Giuseppe Lo Presti, Antonino Pirri, Tino Celi, Luca Cianferoni, Gianluca Currò, Rosolino Ulizzi, Franco Bertolone, Filippo Barbera, Giuseppe Cicciari e Cettina Fasolo.
Quegli omicidi di mafia come film dell’orrore
L’operazione viene denominata Inganno perché un inganno è proprio quello che ha portato alla morte Antino Accetta e Giuseppe Pirri. Un delitto degno di un film dell’orrore, titolarono i giornali quel giorno di fine gennaio del 1992. Era la mattina del 21 e una telefonata anonima avvisò le forze dell’ordine del fatto che all’ingresso del cimitero di Barcellona c’erano due cadaveri. Quando le divise arrivarono, trovarono i corpi senza vita dei due giovani stesi sotto un altare di pietra sormontato da una enorme croce. Due giovanissimi, puniti con la morte per piccoli furtarelli.
Le clamorose dissociazioni
L’operazione Inganno, oltre a fare luce su una serie di delitti rimasti per anni nell’ombra, ha fatto registrare un’altra pagina clamorosa: ovvero il primo episodio di “collaborazione” tra Sam Di Salvo e lo Stato. Chiuso nel silenzio al 41 bis per anni, il “colletto bianco” Di Salvo, ha chiesto di parlare con i magistrati rendendo la sua versione anche su episodi che non lo vedono direttamente coinvolto. In sostanza Di Salvo ha “smentito” D’Amico su alcuni punti specifici. Dopo di lui anche Mastroeni, considerato legato a doppio filo a Di Salvo anche nelle attività nelle costruzioni, ha rilasciato dichiarazioni ai Pubblici Ministeri rivelando i retroscena di alcuni dei delitti e confermando così il suo ruolo. “Sono stato costretto, l’ho fatto per paura di essere ucciso”, ha detto in sostanza il costruttore dissociatosi.