Incontro all'Università nell'ambito delle lezioni di Diritto tributario tenute dal professore De Domenico
MESSINA – Il concordato preventivo biennale è un’opportunità o un rischio per le imprese? Questo il tema di un dibattito svoltosi nell’ambito del corso delle lezioni di Diritto tributario dell’impresa, tenute dal professore Francesco De Domenico. Il tutto nel Corso di laurea magistrale in “Consulenza e Professioni” del Dipartimento di Economia di UniMe, organizzato in sinergia con l’Ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili di Messina.
Dopo i saluti del presidente dell’Ordine Francesco Vito, ha introdotto i lavori Francesco De Domenico, evidenziando l’attualità dell’argomento alla luce della recente proroga al 12 dicembre, approvata dal Governo Meloni, che obbligherà piccole e medie imprese e professionisti a decidere rapidamente se aderire o meno a questo nuovo strumento di “compliance” fiscale.
Nella relazione principale il professore Mauro Beghin, ordinario di Diritto tributario dell’ Università di Padova, ha evidenziato le numerose problematiche giuridiche sottese all’introduzione di questo nuovo strumento che, nell’auspicio del legislatore, avrebbe l’obiettivo di “razionalizzare gli obblighi dichiarativi e favorire l’adempimento spontaneo”. E che, tuttavia, rischia di non godere di particolare gradimento da parte dei destinatari e soprattutto di incorrere in problemi di costituzionalità, atteso che appare evidente come l’oggetto della tassazione sia svincolato dalla produzione del reddito nell’accezione comunemente condivisa.
Il concordato preventivo biennale, in buona sostanza -ha concluso il professore Beghin- si inserisce a pieno merito nella reiterata tendenza volta ad individuare forme di “catastizzazione dei redditi” che per loro natura dovrebbero invece essere determinati sulle risultanze di una contabilità basata sulla contrapposizione di ricavi e costi.
Ma probabilmente, nonostante le buone intenzioni, si tratta di un ennesimo del legislatore di risolvere un’ardimentosa sfida finalizzata a stabilizzare il gettito compromesso vuoi dalla diffusa evasione ovvero dalla oggettiva difficoltà del fisco di eseguire diffuso controllo sul corretto adempimento fiscale.
Sempre in tema di “compliance fiscale” è successivamente intervenuto il professore Giuseppe Ingrao, della nostra università, trattando in particolare il tema dell’adempimento collaborativo che involge le imprese di medie e grandi dimensioni e che, nelle intenzioni del legislatore, dovrebbe valorizzare il rapporto di collaborazione e fiducia tra Fisco e contribuente, attraverso un’interlocuzione costante e preventiva sui rischi fiscali che emergono dallo svolgimento dell’attività economica. Per favorire la diffusione dell’istituto in parola si sono abbassate le soglie di accesso, dando la possibilità di aderire al nuovo regime anche alle aziende con ricavi inferiori al livello minimo di fatturato di 100 milioni di euro, nella prospettiva di evitare le conseguenze reputazionali e finanziarie delle contestazioni che di frequente vengono avanzate dall’Agenzia delle entrate.
Il regime in questione -ha concluso Ingrao – rappresenta, innanzitutto, una sfida culturale per le imprese, le quali dovranno assumere un atteggiamento finalizzato, più che alla mera minimizzazione delle imposte da pagare, alla prevenzione del rischio, anche reputazionale conseguente agli accertamenti tributari, secondo una prospettiva nella quale i maggiori costi sostenuti dalle aziende per la predisposizione del c.d. Tax control framework verrebbero compensati dalle premialità in termini di riduzione dei tempi in cui si soggiace al rischio di accertamento.