Per non morire di mafia. O di indifferenza

Per non morire di mafia. O di indifferenza

Domenico Colosi

Per non morire di mafia. O di indifferenza

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sabato 01 Aprile 2017 - 09:19

Sebastiano Lo Monaco ripercorre la biografia di Piero Grasso in un monologo pedagogico che celebra la resistenza contro l’onnivoro Moloch criminale

“L’indifferenza è il peso morto della Storia”. Sono l’ignavia, l’omertà, il disinteresse dei giusti a mettere in moto la macchina criminale: il silenzio complice di chi si è arreso senza combattere, vinto poiché inerte di fronte ad un Moloch pervasivo, onnivoro. Enfant prodige della magistratura, l’attuale presidente del Senato Piero Grasso ha attraversato l’intera fase eroica della lotta alle organizzazioni criminali, dal primo modesto incarico a Barrafranca al maxiprocesso palermitano al fianco di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, preludio alla prestigiosa promozione al ruolo di procuratore nazionale antimafia. La sua biografia, Per non morire di mafia, non lesina sussulti tragicomici in un contesto cupo, soffocante: la guerra dei mandarini a fare da contraltare alle minacce subite, le piccole meschinerie popolari raffrontate alla squarcio aperto dai primi collaboratori di giustizia ad una cittadella apparentemente inespugnabile; un’ossessione: sfatare una maledizione contro l’intera Sicilia, una volta constatata la sostituzione tra le prerogative dello Stato con la protezione offerta al territorio dalla criminalità. Sanguina la scritta “la mafia non esiste”: un coro di bambini recita i nomi di Pietro Scaglione, Boris Giuliano, Ninni Cassarà, Pio La Torre, Mario Francese, Giuseppe Fava, Beppe Alfano, Peppino Impastato. Vittime.

Un monologo pedagogico cui è concesso un legittimo margine di deriva retorica, Per non morire di mafia è un’odissea nel crimine vissuta nella certezza di un ritorno: la scena nuda, delimitata solo da alcuni pannelli a led, una gigantesca lavagna dove appuntare nomi, dati, utopie; Sebastiano Lo Monaco, dunque, il credibile Ulisse che nulla teme di fronte al male, alla deviazione momentanea di un percorso. Con una sigaretta in bocca, l’attore vaga per il palcoscenico tra scatti improvvisi e ponderate riflessioni, argomenta, accusa, ragiona sulle distanze che dividono la società civile dalla vetta della legalità. L’efficace regia di Alessio Pizzech dona libertà di movimento ad una confessione che solo sul ritmo elabora il suo rapporto con la platea. Passo dopo passo, una marcia intonata al valore della libertà.

Ex direttore artistico del Teatro Vittorio Emanuele, Lo Monaco cede tra gli applausi ad una considerazione personale, l’ennesima fotografia di un luogo svuotato di energie, impoverito di presenze. Mestizia per una sala semideserta nelle parole dell’attore, nota a margine che chiude la serata con una sfumatura di malinconia. Un segnale, nella consapevolezza che di indifferenza spesso si muore.

Domenico Colosi

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