Nel luogo simbolo della tragedia, in cui ci fu anche il più alto numero di vittime, le lancette dell'orologio sembrano essersi fermate a quelle ore terribili della tragedia. Il parroco del villaggio: "E' stato fatto troppo poco per il cuore della gente".
Un silenzio surreale. Forse è questo che colpisce di più quando da piazza Pozzo si arriva in Via Puntale. Luogo simbolo della tragedia, luogo simbolo di quella Giampilieri che non c’è più e che mai più ci sarà. Farsi largo oggi tra le macerie di via Puntale significa tuffarsi nel dolore del 1 Ottobre 2009. La montagna è sempre lì, sovrasta tutto, guarda dall’alto ciò che ha devastato. Il tempo sembra essersi fermato a quella notte maledetta. C’è ancora il segno del fango sui muri, nelle stanze delle case che fino a tre anni fa erano il cuore di Giampilieri, il cuore che ha cessato di battere sotto la furia di quella montagna che si è portata via troppe vite. Sulle scale della casa di Simone Neri c’è un mazzo di fiori, un peluche, tre sigarette lasciati per quell’amico che sfidò la paura e il fango per salvare la sua famiglia. Poco più in la si vede quello che doveva essere un bagno: nella doccia ci sono ancora i flaconi del docciaschiuma, c’è uno specchio, il bicchiere con gli spazzolini da denti, le spazzole per i capelli ben ordinate. E’ tutto ancora lì dove era stato lasciato. Si vede una cucina al primo piano, c’è uno sportello della credenza aperto con alcune bottiglie, forse passata di pomodoro. Da uno squarcio immenso su una delle tante case distrutte si vede quella che doveva essere la stanza dei bambini, c’è una parete colorata con gli orsacchiotti disegnati, ma il fango che l’ha sporcata è ancora lì. In via Puntale il tempo non è passato. Non c’è più la montagna di detriti, quella è stata portata via ormai tanto tempo fa. Il resto è esattamente al suo posto.
Giampilieri però non si è fermata a quel 1 ottobre, anche oggi quello che emerge chiacchierando con la gente del villaggio è la grande voglia di rinascita. La maggior parte della gente che quì è nata e vissuta vuole restare e andare avanti. Sentono di doverlo fare anche per chi non c’è più. Il ritorno alla normalità però è tutt’altro che facile, il ricordo è ancora troppo vivo nella mente e nel cuore di chi ha vissuto la tragedia.
Padre Dario, parroco di Giampilieri Superiore, è insieme a questa gente da un anno, lui non era nel villaggio il 1 ottobre del 2009, ma in questo anno ha conosciuto da vicino il dolore e la paura della sua gente. Forti le sue parole “è vero che qui è stato fatto tanto per mettere in sicurezza il villaggio, seguiamo giorno per giorno i lavori e questo è importante. Ciò che però ho notato parlando con la mia comunità è che poco è stato fatto per il cuore della gente. Molti di loro hanno bisogno di tirar fuori il dolore che hanno tenuto dentro per troppo tempo. Solo così andrà via la paura”. Oggi intanto Messina si stringe intorno ai suoi villaggi devastati tre anni fa. Per non dimenticare ma con la voglia di un futuro che il fango mai più dovrà sporcare. (Francesca Stornante)