Lacrime e fango. C’è una straziante analogia tra l’incedere travolgente della pioggia e lo sgorgare delle gocce di dolore sui volti sconvolti di chi piange i propri cari, i propri amici, persone anche viste solo una volta per strada, fanciulli strappati alla vita e conosciuti solo una volta aggomitolati dentro un telo verde. C’è una vicinanza anche temporale oltre che fisica tra il fango che ancora circonda le strade di Saponara e le lacrime riversate dalla folla che ha deciso di raccogliersi nello spiazzale della chiesa di San Domenico. Troppo piccola la chiesa per contenere la lacerazione. Troppo piccola quella bara bianca con sopra due peluche, simbolo di un’infanzia bruscamente interrotta e di un’adolescenza che non arriverà mai. Troppo vicine le tre bare di Saponara alle trentasette salutate due anni fa dopo il primo ottobre. Troppo.
Si cercano le parole per descrivere, le parole per raccontare. Ma cosa dire di fronte a quei palloncini celesti con su scritto Luca che volano in cielo. Cosa dire di fronte a quello striscione tenuto su dai bambini con cui Luca giocava a calcio, e a quella scritta, “I pulcini della Giovanile Rometta salutano Luca”. I pulcini, piccoli animaletti notoriamente fragili, indifesi. Basta poco per spazzarli via, anche se così poco tempo è passato da quando sono sgusciati zampettando dalle proprie uova. Cosa dire di fronte allo sguardo impietrito di una mamma che non ha nemmeno la forza di piangere, sdraiata su una barella e avvolta in una coperta. Cosa dire di fronte alla mano tremante di una donna che vorrebbe toccare per un’ultima volta il marito e il figlio che tanto amava. Cosa dire di fronte agli occhi zuppi di lacrime degli amici di Giuseppe, dei colleghi di lavoro di Luigi, di coloro i quali con loro condividevano gioie e incazzature di una quotidianità il cui immenso valore viene colto solo quando ci viene strappata.
Ci sono le parole forti, tuonanti dell’arcivescovo La Piana. Che ha l’ingrato compito di infondere speranza in chi la voglia di mollare tutto e di lasciarsi andare allo sconforto deve a tutti i costi cercare di vincerla trovando la forza di lottare. «Ognuno avverta forte il proprio senso di responsabilità», dice La Piana. Già, le responsabilità. Il balletto dei perché e dei processi è già iniziato e proseguirà inesorabile. C’è chi chiede risposte, chi pretende che si possa prevenire, anziché piangere. “Rispetto per i morti, prevenzione per i vivi”, recita la scritta su un lenzuolo appeso al balcone di una casa proprio accanto alla chiesa. Quella casa, vai a scoprire, ha già conosciuto il fango un anno fa e lo ha rivisto nei giorni scorsi. In quella casa dicono: «Non sopporteremmo una terza alluvione».
No, non la sopporteremmo. Non sopporteremmo più altri palloncini volare in cielo, altre bare bianche, altri padri e altre madri costrette a svegliarsi, una mattina, senza più al proprio fianco la famiglia con cui si sarebbe voluti invecchiare. In chiesa c’è anche Nino Lonia, che a Giampilieri aveva perso i figlioletti e la moglie. Lui continua a piangere e a rivivere il “suo” funerale. Quante volte ancora sarà costretto a farlo? C’è chi chiede risposte e chi chiede giustizia, ammesso che mai qualcosa possa rendere giustizia a troppi cuori che hanno perso troppi pezzi. Ma se quei cuori, seppur mutilati, continueranno a battere e a pompare sangue è perché nonostante tutto c’è un domani, nonostante tutto c’è sempre qualcosa per cui vale la pena vivere e lottare. Fosse solo l’azzurro del cielo in cui si sono perduti quei celesti palloncini. Fosse solo il calore del sole che ha pietrificato il fango e asciugato le lacrime fuori dalla chiesa. Fosse solo il sorriso, candido e fanciullesco, di quei pulcini indifesi che vestiti tutti con la stessa tuta che tante volte il loro compagnetto aveva indossato, sollevano in cielo, fieri e pieni di vita, la scritta “Salutiamo Luca”. Salutiamo Luca. Salutiamo Peppe, il dottore Peppe Valla, salutiamo Luigi, infaticabile lavoratore. Salutiamo e piangiamo i nostri morti. Difendiamo la nostra vita e lottiamo per la nostra terra.