“Io lo guardavo e capivo che Rostagno stava arrivando alla morte”. Francesco Milazzo è uno dei collaboratori di giustizia della provincia di Trapani. Nel 1988, dalla sua cella del carcere di San Giuliano, seguiva le trasmissioni di Mauro Rostagno, quell’insolito ragazzo del Nord venuto in Sicilia a parlare di mafia e di politica corrotta, di connivenza e di giustizia infangata. Un curioso giornalista, giunto a Trapani per denunciare quel sistema intrinsecamente malato che era la Sicilia degli anni ’80. Mauro Rostagno era uno di quei morti che camminano tanto cari alla tradizione isolana, uno che aveva osato parlare, ed aveva osato farlo proprio lì, nella terra dei limoni e delle belle arance, nell’isola del sole cocente e del sangue mal celato, nella regione della cultura omertosa e connivente, nella Patria dei Messina Denaro, dei Virga e dei Corleone, dove tutto accade e tutto tace.
“Quando mi dissero di fare il sopralluogo capii che Rostagno era arrivato alla morte, che era arrivato il tempo di ‘scipparci a testa”.
È la notte del 26 settembre 1988. Due ragazzi su una Fiat Duna Bianca stanno percorrendo contrada Lenzi. In alto, Erice osserva con occhi vigili.
Ridono, parlano, sono giovani. Lei è Monica Serra, ha 25 anni, magrolina, viso acqua e sapone. Lui, invece, si chiama Mauro, ha 46 anni ed è un giornalista di RTC, una delle tre emittenti televisive di Trapani. Ha coraggio, passione, voglia di cambiare il mondo. I suoi occhi brillanti nascondono un passato pieno di esperienze e di vita, quella vita che pulsa in ogni vena, che arde, che non spreca neanche un istante di se stessa.
Mauro regge il volante con sicurezza, volge lo sguardo verso il finestrino ed ammira quello spettacolo serale: la collina di Valderice, con le fioche luci in lontananza, si estende magnifica sotto il suo sorriso. Quella è Trapani, quella è la magia della Sicilia, quella è l’isola in cui il destino lo ha condotto dopo un lungo peregrinare. Il suo pensiero viaggia indietro nel tempo, a sua madre, a suo padre, alla sua adolescenza. Come un turbine inarrestabile, i ricordi lo avvolgono e lui si lascia cullare da loro, felice…
Torino, 1960. Mauro ha 18 anni, sposa una ragazza più giovane di lui dalla quale ha una bambina. Pochi mesi dopo lascia tutto, anche l’Italia. La vita lo conduce in Germania, in Inghilterra, di nuovo a Milano, dove ha l’illuminazione sul suo futuro giornalistico, e poi di nuovo via, fuori, nella caotica Ile Parigina degli anni ‘60. Giorno dopo giorno matura in lui una consapevolezza: l’onesta militanza politica è l’unico mezzo per cambiare il mondo malato.
Trento, 1968. Mauro è iscritto alla Facoltà di Sociologia ed il suo nome spicca tra i leader del movimento studentesco. È l’anno della grande contestazione giovanile, delle occupazioni delle università, delle grida e delle urla di una generazione che ha deciso di non tacere più, che ha costretto il mondo ad udire la sua voce. Mauro è in prima fila, a lottare, come sempre. Di lì ad un anno quella sua indole marxista lo avrebbe condotto alla fondazione di Lotta Continua, a Macondo ed infine laggiù, nel regno di Vincenzo Virga.
Trapani, 1981. Mauro è il co-fondatore della Comunità Saman, centro terapeutico per il recupero di tossicodipendenti. Il recente viaggio in India ha aperto in lui nuovi orizzonti, nuovi mondi, nuove culture. La meditazione di Osho, la Comune Arancione, il nome Swami Anand Sanatano: sono tutti tasselli che si compongono e si mescolano nella danza infinita di un puzzle estremamente variopinto. Ma lì, tra i mille colori, c'è ancora un piccolo vuoto, un ultimo pezzetto da incastonare.
Trapani, 1985. Mauro inizia a collaborare con Rtc. È un giornalista, uno di quelli veri, uno di quelli che la mattina, dinnanzi ad uno specchio, non si vergognano ad alzare lo sguardo. Rostagno non ha paura della Sicilia, lui, che non è neanche siciliano. Le sue inchieste violentano ogni sacra omertà, denunciano tutto: mafia, corruzioni, intrecci massonici, loggia trapanese Inside 2, sparizioni misteriose, vite spezzate da un Kalashnikov silenzioso e letale. È una guerra la sua, con vinti e vincitori. Sempre troppi vinti, sempre gli stessi vincitori.
Kinisia, 1988. Un giorno, li vede. A pochi km di distanza da Trapani, Mauro scopre un’agghiacciante verità su un traffico di armi di proporzioni mondiali. La sua telecamera registra tutto, la videocassetta conserva ogni immagine: gli aerei che caricano armi da fuoco, gli uomini a terra che scaricano riso, rifiuti tossici e scorie industriali. I primi diretti verso i signori della guerra in Africa, i secondi sotto terre trapanesi tranquille e silenziose…
I ricordi hanno l’innato potere di annebbiare il presente, ibernandolo. La Fiat Duna Bianca continua a scivolare nel silenzio di contrada Lenzi. La luna, alta in cielo, schiarisce le foglie mosse dal vento e, pian piano, la memoria torna a riporsi nelle segrete dell'anima.
In un attimo, accade. Le luci dei lampioni si fulminano, le tenebre invadono ogni angolo, c'è solo il tempo di spingere Monica sotto il cruscotto. Dal nulla, due esplosioni riecheggiano nel silenzio.
Quella maledetta notte, gli occhi di Mauro Rostagno si chiuderanno per sempre.
I siciliani lo sanno, ed anche quell’insolito ragazzo venuto dal Nord aveva imparato a capirlo. Esistono due Sicilie. C’è chidda bedda, dei limoni e delle arance, del profumo delle zagare in fiore, dei Ciuri Ciuri intonati nelle sagre paesane, dei falò delle notti d’estate. E poi c’è l’altra Sicilia, quella di chi sa tutto e tace, quella delle processioni deviate per passare sotto finestre da omaggiare, quella del nenti sacciu e nenti vogghiu sapiri, quella di Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa, don Pino Puglisi. E’ la Sicilia malata, che comanda, organizza, vive parallela e si rafforza dietro uno Stato ancor più corrotto. E’ lei la Sicilia che ha ucciso Mauro Rostagno. O forse siamo noi ad averlo ucciso, ogni volta che vediamo, sappiamo e, voltandoci dall’altro lato, continuiamo a tacere.
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