MESSINA – “Zorro. Un eremita sul marciapiede” – Se abbandonare la vita normale ti consente di assaporare la libertà”.Una produzione “Prima International Company” 2022 presso l’ente autonomo regionale teatro “Vittorio Emanuele” di Messina, in replica anche stasera alle 21 e il 30 alle 17.30.
Zorro non ha scelto di sopravvivere e, in questo atto unico ci travolge, costringendoci a riflettere, sa scrutarci dentro, con la dignità di chi non è compassionevole verso sé e gli altri e non genera di certo il sentimento della compassione ma, nella sua complessità, smuove in noi pulsioni configgenti.
Una panchina, una coperta isotermica di emergenza e pochi resti del suo bagaglio esistenziale in scena, vesti giustamente un po’ logore, lunga barba come ogni clochard che si rispetti, berretto e vaporizzatore per i giornalieri spruzzi d’acqua, per non puzzare. Ha comunque i suoi contesti spaziali di riferimento, il Nostro, la metropolitana, che con i rituali passaggi dei trenini, scandisce per lui il tempo (non porta, infatti, orologio) la mensa delle misericordiose suorine, accogliente, l’alberghetto diurno ove fare una doccia quando proprio necessita, e ovviamente non gli serve alcun cellulare.
Il testo, un romanzo breve, promanante dall’abile penna di Margaret Mazzantini, pubblicato da Mondadori nel 2004, delinea il dramma di un essere che, a causa di una tragedia esistenziale, muterà il proprio percorso di vita e vivrà sulla strada.
Sergio Castellitto, grande interprete teatrale e cinematografico e abile regista in entrambi gli ambiti, riporta sulle scene una figura di antieroe, che ripercorrendo a grandi linee le ragioni che lo hanno portato al vagabondaggio esistenziale, nel contempo riesce ad illuminarci sulle scelte compiute, sovente inconsapevolmente, da chi, avendo abbracciato la normalità quotidiana, vive all’interno di una società ordinaria e passiva.
Straordinaria e indiscussa la capacità attoriale di Sergio Castellitto nella resa di un personaggio di dilatata espressività che ha scientemente deciso di scandagliare i meandri della propria esistenza, per cercarne il senso vero, a costo di perdersi.
Il monologo incessante si fa dialogo interiore, a tratti un filosofare arguto e sereno, sovente alla ricerca di quella significanza di vita che la rende imprevedibile e soprattutto libera.
È ai margini, isolato dai suoi simili, ma non nutre rimpianti per il mondo regolare, ha adempiuto al bisogno intimo di ricerca dell’essenza, di andare per il mondo senza fardelli, maschere e infingimenti, in pace con se stesso, sempre con il dono di poter fruire di tutto il tempo, che nessuno può più portargli via e serbando la propria dignità.
Come uno dei barboni, che non abbiamo il coraggio di vedere davvero, temendo, probabilmente, di poter anche noi perdere il senso dell’esistenza, smarrirci e finire, qual sacco di fagotti, in terra, silenti e distanti quali eremiti.
Sergio Castellitto dirige senza impacci sé stesso, in un andirivieni tragicomico, intriso di grande impatto emotivo, che coinvolge e stravolge, entrando nel vivo dei perché che demarcano la condizione umana, generando rotture psichiche, costringendo ad abbandonare le forme di convivenza sociale, le convenienze, i legami (nel caso di specie con la distaccata consorte Anna e i resti della famiglia d’origine dopo la morte del padre e della madre, la sorella Nanda, quella più grande, che lo accompagnava a scuola e gli comprava gli appetibili maritozzi con panna) il lavoro d’ufficio, la casa e divenire al fine un senza tetto.
Ogni convenzione dei cd. “Cormorani” è respinta, non c’è alcun astio, però verso i normali, semmai, ironia e distacco che albergano in chi ha oramai compiuto una scelta estrema, sulle tracce dell’autenticità.
Tutto è divenuto scarnificata secchezza, non è più il tempo dei fronzoli esistenziali… Qualcosa, di certo rimane, persistono i ricordi dell’altra vita, ma non generano più dolore, e accompagnano la narrazione dei tempi andati, un tavolo, con sedie intorno e un lampadario, che rimandano al desinare in famiglia. Residuano, quali resti di straniati stracci del passato (che è davvero passato)anche un guinzaglio e una ciotola, quali fantasmi di due cani dallo stesso nome, che hanno segnato il suo destino, i due amati Zorro, che rimpiange ancora, irrimediabilmente persi, il primo per colpa dell’amico perfettino, tal Ilario Marchioni, il secondo per compiacere la moglie senza cuore, pur se avrebbe voluto tenerlo, anche per debito d’onore nei confronti del padrone, Mario, il ragazzo della pompa di benzina da lui investito e morto.
E resta, in particolare, un nocciolo di pesca… che custodisce in tasca, forse sua idea del proprio futuro, quando si è operato per sottrazione di tutto il superfluo.
Le musiche, tutte note melodie degli anni ’80, in uno all’uso delle luci, e alla nuvola di fumo, coprente e persistente, quale indovinato effetto scenico, hanno contribuito ad impreziosire una rappresentazione densa e godibile, uno dei fiori all’occhiello di questa stagione del Vittorio, che i numerosi spettatori hanno gradito con ripetuti applausi anche a scena aperta.