Immaginate di essere un chirurgo. Uno che, al momento di completare un’operazione decisiva per la vita di una persona, decide di fermarsi. Di non completare l’intervento e di fare morire il paziente. In un parallelo solo in parte forzato, potremmo azzardare che la scelta del governo Meloni (nella foto la presidente del Consiglio a Piazza Cairoli) di eliminare nel 2024 il reddito di cittadinanza corrisponde ad abbattere un organismo che avrebbe bisogno di ben altro, e in questo caso non si tratta di benaltrismo, per ritornare in funzione. Politiche del lavoro, giustizia sociale, politiche sociali, sostegno alle imprese che intendano investire davvero sui lavoratori, innovazione e creatività in campo industriale, culturale, sociale.
Un Rdc ridimensionato nel 2023 e abrogato nel 2024 quando, al contrario, ogni sforzo dovrebbe essere diretto a rivoluzionare i centri per l’impiego e rafforzare il sostegno a chi ha bisogno. Nel frattempo, la notizia sul maxi bonus per tablet, smartphone e computer (fonte la Repubblica), a favore dei parlamentari, è destinata ad alimentare il fuoco del populismo. Ma, di certo, una politica che lavorasse in maniera più incisiva contro disuguaglianze e ingiustizie sociali potrebbe forse ridimensionare l’attacco generico a tutti i politici. “E poi dicono che tutti sono uguali, che tutti rubano nella stessa maniera”, canta De Gregori (“La storia”).
Dal piano nazionale a quello locale, in pochi trovano lavoro a Messina, quasi mai adatto alle loro caratteristiche, con orari e retribuzioni a volte scandalosi. E il reddito di cittadinanza, misura da potenziare e non scevra da limiti, ha avuto il merito storico di far dire “no” a condizioni lavorative segnate dallo sfruttamento. Spesso questo strumento ha fatto emergere situazioni proibitive, dando la possibilità di dire “no” a proposte davvero indecenti.
In base al report trimestrale su reddito e pensione di cittadinanza, a Messina risultano 21.398 i nuclei familiari coinvolti per il Rdc, 46.176 le persone coinvolte, 587,81 l’importo medio mensile. Per la pensione di cittadinanza, invece, sono 1.863 i nuclei coinvolti, 2.102 le persone coinvolte e 304,34 l’importo medio mensile. Aggiungiamo, ai freddi numeri, che la città dello Stretto, in base ai dati Istat, ha il più basso tasso d’occupazione dei grandi Comuni, con solo il 35,1 per cento d’occupati. Più del sessanta per cento di persone non lavorano e sono in tanti, progressivamente, ad abbandonare la città.
Nel 2017 gli abitanti, sulla base dei dati Istat, risultavano a Messina 236.962mila. Nel 2022 figurano 218.547mila abitanti. Un’erosione che può essere frenata solo con una visione politica a lungo respiro. Di conseguenze, in un quadro allarmante di distanza abissale fra nord e sud, con Messina in condizioni preoccupanti da almeno trent’anni, le politiche nazionali dovrebbero essere rivolte ad aggiungere a forme di sostegno economico, come il reddito di cittadinanza, misure per creare davvero occupazione. Che poi si decida di eliminare questo strumento, dopo la crisi pandemica e in una congiuntura economica così difficile, rende ancora meno azzardata la metafora del chirurgo che elimina il paziente, invece di rianimarlo.
Sia chiaro anche il Rdc è una misura insufficiente, piena di limiti, ma di certo non da abolire. Poi se esistesse la sinistra, anche e soprattutto facendo opposizione, dovrebbe preoccuparsi di reinventare il modello sociale. Non a caso scrive l’avvocato messinese Nicola Bozzo, ed ex dirigente dei Ds tanti anni fa, sulla sua pagina Facebook: “Anche il welfare ormai è populista. Singoli provvedimenti senza contesto offerti alla comunicazione social. Vale per il congedo parentale più esteso adesso realizzato dal governo. Vale per la trovata di Letta sul capitale iniziale per i giovani. Vale per tutto. Anche per il reddito di cittadinanza o chiamato in altri modi, che in sé considerato è propugnato anche dagli ultraliberisti, come obolo caritatevole per gli sconfitti. La sostanza è una certa omogeneità delle politiche. La sinistra potrebbe rinascere se pensasse a un nuovo contratto sociale contemporaneo. Adesso che il neoliberismo puro è in crisi. Ma di questo neanche l’ombra. Quindi si ripiega su eroismi sospetti e antifascismo”.
Un’iniziativa nazionale contro l’annunciata abolizione del sussidio si è svolta a Palermo. “Il Movimento Cinque Stelle – ha evidenziato la deputata regionale Roberta Schillaci in occasione della manifestazione martedì 29 novembre – chiede subito l’apertura di un tavolo di confronto con il governo nazionale per rappresentare le difficoltà di una terra come la Sicilia che non sarà in grado di offrire proposte lavorative, gettando nello sconforto tantissime famiglie. E in tal senso non incoraggia il rapporto Svimez, che prevede un milione di poveri in più nel 2023, concentrati per lo più nel Meridione. Qui lavoro non ce n’è, e quel poco che c’è, deve passare per i centri per l’impiego, rendendolo obbligatorio”.
Da aggiungere che, come è stato denunciato dalla Filcams Cgil a Messina, “circa 80mila persone che percepiscono il Rdc hanno tra 50 e 59 anni e difficilmente troveranno un impiego“. A sua volta, così si è pronunciata l’assessora regionale al Lavoro, Nuccia Albano, che ha incontrato una delegazione dei manifestanti in corteo a Palermo: “Il reddito di cittadinanza ha aiutato le persone in stato di indigenza, soprattutto nel periodo di pandemia che abbiamo attraversato. È stata una misura apprezzabile, ma certamente oggi occorre rivederla”.
Rivederla non significa abolirla e il dato Svimez di un milione di poveri in più, il prossimo anno, fa pensare quanto sia necessario cambiare il paradigma sul piano delle politiche sociali e della progettazione. A meno che non si voglia gettare in pasto troppe persone, così, senza alcuna inversione di tendenza nelle politiche del lavoro, alla disinvoltura di alcuni imprenditori improvvisati, con le loro proposte da fame. Il tutto a discapito di chi vorrebbe davvero creare nuova occupazione, e fare impresa, in condizioni umane e dignitose. In linea con i principi della nostra Costituzione.