C'è un pezzo di Africa a Messina, ma pare che la città non debba accorgersene. I 52 africani alloggiati al PalaNebiolo sono stretti nell'area recintata del palazzetto universitario, in cima alla collina dell'Annunziata. Somali soprattutto, ma anche eritrei e nigeriani. Quando sono arrivati da Pozzallo erano già stati tutti identificati, ma per le prefetture italiane sono clandestini. Giovani, giovanissimi, non avranno più di trent'anni. Un manipolo di ragazzini fuggiti dalla guerra e dagli stenti dell'Africa Sud Sahariana e ora strappati dal centro di permanenza temporanea di Pozzallo, per una certamente più comoda palestra messinese. In attesa di sapere, oggi come ieri, se usciranno di lì, chissà quando, con un foglio di via o un rimpatrio da ottemperare entro qualche ora, che ovviamente non ottempereranno mai. O, se da lì, saranno trasferiti in qualche altra struttura cittadina o no. Improbabile che tornino a Pozzallo, centro che già scoppia di suo, e dove ora è stato fatto posto agli scampati della tragedia di Lampedusa delle cui immagini sono pieni i telegiornali e le tv.
C'è un pezzo di Africa a Messina, ma la città pare non doversene accorgere. Il Palanebiolo è praticamente blindato. Impossibile entrare se non espressamente autorizzati dalla Prefettura. Fuori, due pattuglie della Polizia guardano a vista i profughi, che si muovono tra l'area interna al palazzetto e i gazebo esterni. La parola d'ordine che sembra vigere è: operazione accoglienza chirurgica. Fuori dai cancelli del Palanebiolo non si sente un fiato, un rumore, quando dentro ci sono gli atleti c'e decisamente più affollamento. Neppure dalla scuola che sovrasta la struttura si ode voce, e si scorge appena, oltre la rete, qualcuno dei ragazzi dentro. Tempi certi non ce ne sono. Di fatto l'area universitaria è passata in mano alla Prefettura. Si parla di una ventina di giorni almeno.
Di fatto, dentro, sono quasi tutti all'esterno, appoggiati ad un muretto, ciondolano in attesa che qualcuno dei volontari consenta loro di spendere quei 2 euro e mezzo al giorno, chiedono sigarette che possano avere soltanto se qualcuno gliele porta dall'esterno. Vanno e vengono le forze dell'Ordine, il personale della Protezione Civile e della Croce Rossa, dentro ci sono anche gli operatori del Cara di Mineo, che aiutano il personale locale. I ragazzi sembrano stare tutti bene, erano già stati medicati a Pozzallo. I viveri non mancano, gli abiti neppure. E non sono mancati i cittadini messinesi che stamane hanno portato donazioni al centro. Appoggiati sul muretto, sotto il sole e la frescura dello Stretto, chi ha vinto la paura e l'angoscia del mare, chi scaccia la nostalgia per una famiglia che non rivedrà mai più, cerca una sigaretta. E una speranza. (Alessandra Serio)