Amministrative 2013: il Tar giudica inammissibili i ricorsi. Ecco la sentenza

Ieri l'udienza oggi la sentenza del collegio giudicante. Il Tar di Catania ha giudicato inammissibili i ricorsi presentati a luglio in merito al risultato del primo turno elettorale delle amministrative 2013 . Accorinti resta pertanto sindaco di Messina.Il Tar giudica inammissibili i ricorsi sia per difetto d’interesse (perché i ricorrenti non avrebbero, in caso di ammissione, alcun vantaggio, dall’elezione di Calabrò sindaco, poiché candidati al consiglio comunale o come semplici cittadini), sia nel merito, “per genericità delle censure fatte valere” I ricorrenti infatti, rileva il Tar hanno chiesto il riconteggio delle schede contestando irregolarità nei verbali di sezione al primo turno, chiedendo anche, “per tutte le sezioni scrutinate al primo turno, ivi indicate (circa 34), la consultazione delle tabelle di scrutinio, “con l’apertura dei plichi. Tuttavia, per nessuna delle sezioni individuate in ricorso i ricorrenti precisano quali dovrebbero essere i risultati corretti, né offrono un principio di prova a supporto di una diversa ricostruzione. In sostanza, i ricorrenti mirano ad un nuovo scrutinio sezionale, ma non riescono a dimostrare che dagli affermati vizi di verbalizzazione delle sezioni, con la conseguente assegnazione di voti da parte dell’Ufficio centrale ai candidati alla carica di sindaco, sia effettivamente derivata una alterazione del risultato elettorale" Di seguito la sentenza del Tar:

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1738 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Alessia Currò, Giovanna Venuti, Giovanni Crocivera, rappresentati e difesi dall'avv. Silvano Martella, con domicilio eletto presso la Segreteria del Tribunale, in Catania, via Milano 42a;

contro

Comune di Messina, Sindaco del Comune di Messina, Commissione Elettorale;
Ufficio Elettorale Centrale, Assessorato Regionale degli Enti Locali, Ministero dell'Interno, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Catania, via Vecchia Ognina, 149;

nei confronti di

Renato Accorinti, rappresentato e difeso dall'avv. Arturo Merlo, con domicilio eletto presso Egidio Incorpora in Catania, via Aloi, 46; Felice Calabro';

e con l'intervento di

ad adiuvandum:
Fortunato Barrile, rappresentato e difeso dagli avv. Andrea Scuderi, Giovanni Mania, con domicilio eletto presso Andrea Scuderi in Catania, via V. Giuffrida, 37;
Salvatore Versaci, rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Mania, Andrea Scuderi, con domicilio eletto presso Ignazio Scuderi in Catania, via V. Giuffrida, 37;

per l'annullamento

dell’atto di proclamazione alla carica di Sindaco del Comune di Messina del 25.06.2013, nonché di tutti i verbali dell’Ufficio Centrale Elettorale.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ufficio Elettorale Centrale, Assessorato Regionale degli Enti Locali, Ministero dell'Interno, Renato Accorinti;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2014 il dott. Dauno Trebastoni e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

I ricorrenti impugnano il verbale con cui è stato proclamato eletto alla carica di Sindaco del Comune di Messina l’attuale controinteressato.

1) Preliminarmente, il Collegio ritiene di dover dichiarare inammissibili, per difetto di interesse, sia il ricorso principale che quello per motivi aggiunti, nella parte in cui i ricorrenti agiscono nella veste di candidati (non eletti) al consiglio comunale.

Il Collegio osserva che nella veste di candidati i ricorrenti non hanno interesse processualmente rilevante ad agire, considerato che con il ricorso vengono fatte valere solo censure che, ove accolte, non porterebbero alla loro elezione a consiglieri, ma solo all’annullamento della proclamazione del Sindaco Accorinti, ed alla proclamazione, al primo turno, dell’altro candidato a Sindaco, Avv. Calabrò.

Dall’accoglimento del ricorso i ricorrenti non riceverebbero quindi nessun concreto vantaggio, perché resterebbero comunque non eletti al consiglio comunale, senza alcun riflesso neppure sui voti di lista, che non risultano in alcun modo contestati.

Da ciò il difetto d’interesse a far valere nel presente giudizio la posizione di candidati, con la conseguente inammissibilità del ricorso in parte qua.

2) Potrebbe però sostenersi la legittimazione attiva dei ricorrenti in quanto cittadini iscritti nelle liste elettorali del Comune di Messina. Infatti, l’art. 130, 1° comma, lett. a), del D.Lgs. n. 104/2010, di approvazione del codice del processo amministrativo – c.p.a., riconosce la legittimazione attiva anche ad ogni “elettore dell’ente della cui elezione si tratta”.

Naturalmente, tale legittimazione va dimostrata dal soggetto ricorrente, ed è sorretta dalla prova di essere cittadino elettore del Comune ove si è svolta la competizione i cui risultati sarebbero inficiati da errore (cfr., ex multis, Cons. St., sez. V, 14/04/2008n. 1661).

La circostanza, seppure provata, di essere stato candidato alle elezioni, non reca con sé anche la prova di essere iscritto nelle liste elettorali del Comune all’elezione degli organi del quale si è partecipato, non essendo condizione necessaria per la presentazione della candidatura.

Ora, tale qualità di cittadino elettore è stata dimostrata dai ricorrenti in modo e tempi diversi.

La ricorrente Venuti ha depositato da subito, fin dall’originario deposito del ricorso, prima della sua notificazione insieme al decreto presidenziale di fissazione dell’udienza, copia della tessera elettorale e della carta di identità.

Mentre tutti e tre i ricorrenti hanno poi depositato, in data 14.11.2013, i certificati comprovanti la loro iscrizione nelle liste elettorali.

2.1) Per quanto riguarda la ricorrente Venuti, il controinteressato ha eccepito l’inidoneità della tessera elettorale, in generale, a dimostrare la legittimazione attiva, ritenendo il suddetto certificato non sostituibile. Ciò perché la legittimazione processuale deve sussistere al momento della proposizione del ricorso, mentre la tessera elettorale prova tutt’al più che il cittadino ha votato alla data dell’elezione, cronologicamente antecedente rispetto alla data di deposito del ricorso, non coprendo però il periodo che intercorre tra la data dell’elezione e quella di proposizione del ricorso.

Il Collegio ritiene però tale eccezione non fondata, per due ordini di considerazioni.

Innanzitutto perché prova troppo, poiché allora dovrebbe conseguentemente sostenersi che il certificato elettorale dovrebbe riportare, per fugare ogni dubbio, la stessa data di proposizione del ricorso.

E poi, soprattutto, perché l’art. 32 del DPR n. 223/67 prevede variazioni alle liste elettorali in tempi e con modalità ben cadenzate, incompatibili con la perdita di elettore da parte della ricorrente Venuti al momento in cui fu proposto il ricorso.

2.2) Il controinteressato ha poi contestato che la fotocopia della tessera elettorale, prodotta dalla ricorrente Venuti, possa essere ritenuta idonea a costituire prova processuale della legittimazione ad agire nella qualità di elettore, poiché avrebbe dovuto essere prodotta in copia autenticata.

La ricorrente ha replicato che, in generale, la necessità della produzione in originale di un documento, ai sensi dell’art. 2719 c.c., “è subordinata alla proposizione di apposite eccezioni dirette come nel caso di specie a contestarne l’autenticità”. Con la conseguenza che, non essendoci stata tale eccezione, ed essendo stato prodotto, seppur dopo la contestazione ad opera del controinteressato, l’originale, l’onere probatorio è stato assolto. Evidentemente, la ricorrente si riferisce al deposito, avvenuto il 14.11.2013, dei certificati elettorali.

Il Collegio ritiene che l’eccezione del controinteressato sia infondata, perché l’art. 2719 c.c. è inequivoco nel prevedere che “Le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche”, oltre che nel caso in cui “la loro conformità con l'originale è attestata da pubblico ufficiale competente”, anche qualora “non è espressamente disconosciuta”.

Ora, come ribadito in giurisprudenza, l'onere di disconoscere la conformità all’originale della copia fotostatica prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l'uso di formule sacramentali, va assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto: tale, cioè, che possano da essa desumersi in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia. Ne consegue che la copia fotostatica non autentica di una scrittura si ha per riconosciuta conforme all'originale, se la parte contro cui è stata prodotta, non la disconosce in modo formale e specifico (cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. III, 14/03/2006 n. 5461).

E poiché il controinteressato non ha contestato la conformità all’originale delle fotocopie prodotte dai ricorrenti, queste non possono che essere ritenute aventi “la stessa efficacia di quelle autentiche”.

3) Nel merito, sia il ricorso principale che quello per motivi aggiunti vanno dichiarati inammissibili, per genericità delle censure fatte valere; per cui può prescindersi dall’esame del ricorso incidentale.

I ricorrenti affermano, in relazione alle lacune riscontrate nei verbali di sezione relativi al primo turno, che i voti assegnati ai candidati alla carica di Sindaco non possono essere considerati attendibili, e chiedono pertanto, indicando una serie di sezioni, il riconteggio dei voti, previa acquisizione quanto meno delle tabelle di scrutinio non acquisite dalla commissione elettorale.

Con i motivi aggiunti tale richiesta è stata poi integrata, chiedendo anche, “per tutte le sezioni scrutinate al primo turno”, ivi indicate (circa 34), la consultazione delle tabelle di scrutinio, “con l’apertura dei plichi e, quindi, procedendo anche all’apertura di tutte le schede, relative alle preferenze per il candidato a Sindaco, sia quelle valide che quelle non valide, comprese quelle nulle (…)”, con relativo “conteggio dei voti”.

Tuttavia, per nessuna delle sezioni individuate in ricorso i ricorrenti precisano quali dovrebbero essere i risultati corretti, né offrono un principio di prova a supporto di una diversa ricostruzione.

In questo senso va ritenuta insufficiente, ai fini dell’assolvimento dell’onere probatorio de quo, il deposito da parte dei ricorrenti di dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà attestanti, in contrasto con le risultanze dei verbali, l’avvenuta commissione delle irregolarità dedotte in ricorso (cfr., da ultimo, CGA, 03.04.2013 n. 403, che richiama CGA, n. 610/2009; vedi anche CGA, 13.06.2013 n. 581, che esclude che una dichiarazione sostitutiva come quella in esame possa essere considerata testimonianza scritta ai sensi dell’art. 63, comma 3, c.p.a.).

In ogni caso, ha ragione il controinteressato a rilevare che tale dichiarazione riguarderebbe solo quanto avvenuto presso l’Ufficio elettorale Centrale, e non può quindi provare fatti relativi alle operazioni di scrutinio presso le sezioni indicate nel ricorso.

In sostanza, i ricorrenti mirano ad un nuovo scrutinio sezionale, ma non riescono a dimostrare che dagli affermati vizi di verbalizzazione delle sezioni, con la conseguente assegnazione di voti da parte dell’Ufficio centrale ai candidati alla carica di sindaco, sia effettivamente derivata una alterazione del risultato elettorale.

Il Collegio non ritiene che il caso in esame presenti profili che inducano a discostarsi dall’orientamento secondo cui il minor rigore del principio della specificità dei motivi d’impugnativa nei ricorsi elettorali non comporta una parallela attenuazione del dovere ufficioso del giudice di valutare sempre l'attendibilità delle censure introdotte nel processo, al fine di verificarne la serietà, anche tenendo conto dei relativi elementi di prova offerti, in quanto occorre scongiurare il rischio che, sulla base di accertamenti istruttori disposti in relazione a doglianze che in base alle regole processuali non meriterebbero approfondimento, il decidente finisca per realizzare in via giudiziaria una inammissibile revisione, totale o parziale, del procedimento elettorale (cfr. CGA 03.04.2013 n. 403, che richiama CGA n. 404/2010).

In sostanza, ai fini in esame non rileva la portata qualitativa o quantitativa delle censure in sè considerate, in quanto ove difetti qualunque altro valido indizio di natura documentale dei vizi allegati (quali, ad esempio, il contenuto dei verbali, i rilievi in essi contenuti per come formulati dagli scrutatori o dai rappresentanti di lista o le decisioni assunte dai presidenti di seggio, il numero delle schede contestate in ciascuna sezione etc.), il giudice non deve attivarsi per acquisire in via ufficiosa gli elementi di supporto delle doglianze dedotte onde verificarne la serietà.

Vale a dire che un’impugnativa elettorale può presentarsi come “esplorativa” ancorché sorretta da doglianze specifiche, perchè un altro degli indici caratteristici della natura esplorativa è in generale ravvisabile nell’elevata consistenza numerica delle schede contestate.

In generale, la finalità “esplorativa” di un’azione è rivelata, come sopra accennato, dalla circostanza che l’interessato non intende ottenere una pronuncia in grado di dissipare un’incertezza circa la valutazione giuridica di una o più questioni di fatto, ma aspira, per contro, a conseguire attraverso l’istruttoria processuale una modificazione del fatto o, in altri termini, un risultato consistente nella più o meno consistente rinnovazione dello scrutinio, nella speranza di far affiorare ex post eventuali vizi del voto ipotizzati ex ante in sede di impugnativa, attraverso l’esperimento dei mezzi di prova che può disporre, anche d’ufficio, l’autorità giurisdizionale (e tra questi, in materia elettorale, principalmente la verificazione).

Nel caso in esame, per molte delle sezioni per le quali erano ravvisabili lacune nei verbali risulta che l’Ufficio Centrale ha ricavato i dati sui voti traendoli direttamente dalle tabelle di scrutinio, senza ricorrere ad esse laddove il dato risultava ricostruibile con ragionevole certezza indipendentemente dalle irregolarità formali o dalle omissioni parziali dei verbali.

Ora, in materia di operazioni elettorali, nel caso di discordanza dei documenti, è data prevalenza alle tabelle di scrutinio rispetto ai verbali di sezione, considerata la funzione meramente certificatoria che il verbale assolve rispetto alle operazioni effettive riportate nelle tabelle, le quali sono compilate contestualmente alle operazioni di spoglio (cfr. Cons. St., 31.07.2012 n. 4358).

La circostanza che dai verbali dell’Ufficio Centrale risulta che in alcuni casi nei verbali consegnati non erano riportati i voti conseguiti da ciascuno dei candidati a Sindaco, e che tali dati sono stati poi acquisiti dai prospetti inviati al CED, non sembra al Collegio determinante, perché resta il fatto che i ricorrenti non sono stati in grado di fornire, con un minimo di attendibilità, neppure un principio di prova che i voti, per come assegnati, sarebbero non corrispondenti alla realtà, nè in quale modo tale eventuale discrasia avrebbe influito sull’esito finale, cioè specificando i voti che sarebbero stati assegnati in più o in meno ai candidati.

Da tutto quanto precisato consegue che i descritti motivi di ricorso, ancorchè dedotti in forma analitica, risultano in realtà connotati da una finalità essenzialmente esplorativa, o comunque volta ad innescare il mero riesame delle contestate operazioni elettorali, e pertanto da considerare inammissibili.

Per quanto riguarda gli altri motivi, il Collegio osserva che nei giudizi elettorali vale il principio per cui le irregolarità meramente formali non possono dar luogo alla caducazione delle operazioni elettorali, perché in caso contrario verrebbe mortificata la volontà del corpo elettorale. Vale a dire che la presenza di cancellature e correzioni non può essere considerato elemento sufficiente ed univoco per ritenere esistente un rapporto tra esse e l’asserita illegittimità delle operazioni elettorali, laddove le cancellature e le correzioni potrebbero anche trovare spiegazione nella superficialità o nella scarsa dimestichezza dei componenti del seggio con i verbali e con gli atti pubblici.

Senza contare che anche tali censure presentano rilevanti profili di inammissibilità per genericità, perché non è evidenziato il collegamento tra le cancellazioni e/o correzioni rinvenute nei verbali e l’alterazione del’effettivo risultato elettorale.

4) Vanno infine estromessi dal giudizio l’Ufficio elettorale centrale e la Commissione elettorale, perché nei giudizi elettorali dinanzi al giudice amministrativo parte necessaria è il Comune, e non già l’Amministrazione statale cui appartengono gli organi preposti alle operazioni; pertanto, la Commissione e la Sottocommissione elettorale circondariali, organi per loro natura neutrali, non sono parti necessarie del giudizio relativo al verbale di proclamazione degli eletti, e la legittimazione passiva è riconducibile, in tal caso, solo all’Ente locale interessato, il quale si appropria del risultato elettorale e vede riverberarsi su di sé gli effetti dell’annullamento o della conferma della proclamazione degli eletti (cfr., ex multis, CGA, 22 gennaio 2013 n. 28).

In considerazione della complessità delle questioni giuridiche e fattuali coinvolte, sussistono le eccezionali ragioni che consentono la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – Sezione staccata di Catania – Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso principale e sul ricorso per motivi aggiunti, li dichiara inammissibili, nei termini di cui in motivazione.

Dichiara improcedibile il ricorso incidentale.

Dichiara il difetto di legittimazione passiva dell’Ufficio elettorale centrale e della Commissione elettorale.

Spese compensate.

Ordina all’Amministrazione di eseguire la presente sentenza, ed incarica la Segreteria di trasmetterne copia al Sindaco ed al Prefetto di Messina.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 30 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:

Biagio Campanella, Presidente

Maria Stella Boscarino, Consigliere

Dauno Trebastoni, Consigliere, Estensore

In allegato anche la sentenza del Tar, relativa al ricorso n°1910, sempre contro l'elezione del sindaco Accorinti e rigettata con le stesse motivazioni della precedente. I due ricorsi sono stati unificati nell'udienza del 5 dicembre e discussi ieri.

Intanto dall'avvocato Silvano Martella, legale dei ricorrenti, riceviamo questa nota di commento: "Smentendo le pretestuose eccezioni sull’irritualità nella presentazione dei ricorsi, la motivazione delle due sentenze si pone in linea con quella giurisprudenza più restrittiva per la quale, per ridurre il più possibile i contenziosi in materia, prima ancora ed indipendentemente dal profilo della legittimità delle operazioni elettorali, impone al ricorrente una prova, che può definirsi “diabolica”, che “i voti, per come assegnati, sarebbero non corrispondenti alla realtà, né in quale modo tale eventuale discrasia avrebbe influito sull’esito finale, cioè specificando che i voti sarebbero stati assegnati in più o in meno ai candidati” (questo si legge in un passo della motivazione). Il che sta a significare lo svuotamento di fatto dell’azione popolare, non potendo più il cittadino elettore essere nelle condizioni di offrire una simile prova, e quindi del diritto del cittadino di conoscere se la competizione elettorale si sia svolta nel rispetto, o meno, delle procedure previste dalla legge".

Silvano Martella.

Rosaria Brancato