La posizione dell’Amministrazione Accorinti in merito alla gestione del servizio idrico è esplicita da sempre. La società AMAM, già a totale capitale pubblico, è stata da poco trasformata in una società in house providing, con una scelta politica che, potenziando la dimensione della pubblicità, affida il servizio direttamente a un soggetto di diritto pubblico sottoposto a controlli analoghi, un soggetto così “interno” da essere equiparabile nella sostanza a un dipartimento dell’Ente Comunale.
Quanto alle dichiarazioni di alcuni Consiglieri circa la presunta “ipocrisia” dell’Amministrazione (vedi qui) , verrebbe da dire, scherzosamente, che anche un referendum per rendere pubblica l’onestà intellettuale non farebbe male: un “minimo vitale” sarebbe necessario per tutti, soprattutto per chi ha assunto davanti alla cittadinanza ruoli di responsabilità e sa che con un’informazione parziale o perfino mendace si rende ad essa un servizio scadente. Entrando nel merito delle questioni sollevate, si ribadisce che, nel caso del Comune di Messina, è la natura stessa della società AMAM a impedire il profitto: i guadagni infatti devono obbligatoriamente essere reinvestiti nel servizio stesso, quindi rimessi in circolo a beneficio della collettività, senza un qualsivoglia accumulo di capitale; inoltre, qualsiasi accesso di quote private farebbe cadere la natura giuridica della società stessa, che andrebbe dunque sciolta. Quanto agli emendamenti proposti in Aula e riferiti ai 50 litri di acqua giornalieri e al fondo di solidarietà, essi hanno politicamente trovato l’appoggio da parte della Giunta, tuttavia si ritiene che non siano da inserire nello Statuto della società, subordinato alla legge regionale, bensì nel piano finanziario, la cui revisione è ancora in atto. Lì, coerentemente con la direzione politica mai tradita, saranno presenti le voci ad essi relative.
Quello che accade in certe prese di posizione strumentali, volte ad ottenere visibilità tramite la moda diffusa dell’antiaccorintismo a tutti i costi, è l’esatto opposto del principio “pensare globalmente e agire localmente”. Non una parola infatti, in tali dichiarazioni, alle condizioni nazionali e globali: nessun cenno all’orientamento assunto dalle Nazioni Unite che, se in linea teorica difendono l’acqua come diritto da assicurare a tutti, nei fatti si muovono verso una gestione che coinvolge i privati per tagliare gli sprechi e aumentare l’efficienza dei servizi; nessuna denuncia delle ancor più nitide scelte del Consiglio Mondiale sull’Acqua, un’emanazione delle multinazionali che propone alle agenzie Onu, agli Stati e all’Unione Europea politiche di “gestione economica” delle risorse idriche. Al VII Forum Mondiale dell’Acqua, per esempio, svoltosi ad aprile in Corea, è stato proposto di contrastare la crisi idrica investendo in tecnologie che sostituiscano il ciclo naturale dell’acqua con quello artificiale gestito dall’uomo, e a tal riguardo le multinazionali si sono dette pronte ad affiancare gli Stati per garantire l’accesso all’acqua potabile, a condizione che lo Stato o i consumatori si facciano carico della copertura dei costi.
La situazione planetaria è dunque gravissima: il diritto inalienabile all’acqua in quanto bene essenziale è progressivamente sostituito da una “possibilità di accesso all’acqua” subordinata alla quantità di risorse disponibili in un determinato territorio e alla capacità dello Stato di mettere in piedi modelli tecnologici capaci di sfruttare al meglio la risorsa. L’acqua sta diventando una merce e il rischio che rientri nella materia del TTIP non è ancora superato: tutto dipenderà dalla capacità o meno degli stati nazionali di coprire i costi del servizio.
Dentro questo orizzonte “globale”, i fronti “locali” in difesa dell’acqua pubblica non possono permettersi di frammentarsi: hanno il dovere, piuttosto, di compattarsi e rafforzarsi, per dimostrare che la gestione partecipativa può essere più efficiente ed economica di quella privata, oltre che più etica e più giusta. Collaborare per interrompere il processo di mercificazione di un bene primario come l’acqua richiede uno sforzo comune a cui non ci si può sottrarre. Lo dobbiamo alle generazioni presenti e future.
Ivana Risitano,
Consigliera Comunale di Cambiamo Messina dal basso