Era atteso per il 7 febbraio, ma all’ultimo momento ha rinviato a domenica 15. Anche questa volta però il segretario regionale del Pd Fausto Raciti ha rinviato l’appuntamento con un partito in ebollizione, anche stavolta lo ha fatto all’ultimo momenti (per problemi legati al suo incarico da parlamentare), ma il rinvio è a data da destinarsi. A volte anche il silenzio è una strategia, così come lasciare che un partito paralizzato ai fatti dell’estate 2013, giudiziari e politici, resti ingabbiato nonostante le proteste e nonostante ormai per i messinesi non esista semplicemente più. Hanno un bel da fare le nuove leve generazionali, renziani, cuperliani, civatiani che da mesi e mesi reclamano la svolta, un guizzo, un intervento dei vertici regionali. Raciti e i suoi non rispondono perché “l’ordine di scuderia” è lasciare le cose come stanno, lasciare che il partito agonizzi tra scontri e lacerazioni, indagini e litigi. A nulla valgono gli appelli di Hyerace e Siracusano, i documenti dei renziani, la lettera aperta dell’ultimo segretario cittadino, Giuseppe Grioli, le posizioni di quei consiglieri comunali come Donatella Sindoni e Daniele Zuccarello che stanno sbattendo la porta, gli accorati scritti di Lucia Tarro Celi o Emilio Fragale. A nulla è valsa la rivolta delle correnti dopo il noto annuncio dell’Area Dem, che ha dichiarato, a nome di tutti i consiglieri comunali, di voler sfiduciare il sindaco, sconfessando lo stesso segretario provinciale Basilio Ridolfo e rendendo palese il fatto che anche il Coordinamento cittadino varato ad ottobre è una farsa, un paravento per continuare a far decidere sempre gli stessi e sempre nelle stesse stanze (magari spostate di qualche numero civico dalla via I settembre).
Raciti, chiamato al capezzale di un Pd che tutti fingono di credere in vita, anche stavolta ha risposto “picche”.
Il Pd dello Stretto è ostaggio del suo passato.
E vi resterà a lungo, fino a quando i vertici regionali non decideranno di rispondere agli appelli e non solo alle richieste di una sola parte. L’ultimo segretario cittadino, Grioli, si è dimesso nella primavera del 2013. Da allora il partito ha attraversato bufere giudiziarie ed elettorali ma è rimasto incatenato ad un assetto che il Pd regionale non ha alcuna intenzione di modificare. Dopo il finto commissariamento di Lupo, nell’estate dei Corsi d’oro e della sconfitta elettorale, si è passati alla segreteria del genovesiano Basilio Ridolfo, frutto di un accordo a tre, Rinaldi-Laccoto-Panarello. Il segretario provinciale non è stato messo nelle condizioni di operare, proprio perché messo lì come “custode” e garante di un accordo a tavolino e non in vista di un progetto che mirasse alla rinascita del partito. Dopo la richiesta di autorizzazione a procedere della Procura nei confronti di Genovese, nel marzo 2014, nei primi giorni di aprile Ridolfo ha presentato le dimissioni, che il segretario regionale Raciti, dopo un mese di silenzio ha congelato. Il Pd ha attraversato la campagna elettorale per le Europee con il suo leader in carcere e senza guida del partito. Oltre all’inchiesta a congelare il partito è l’esito di un ricorso all’elezione di Accorinti che arriverà solo a dicembre. Ostaggio quindi di logiche interne il Pd resta senza segretari e senza direttivo e con il “congelamento di Ridolfo” per altri sei mesi, fino a fine settembre. In sintesi oltre un anno di paralisi, un anno che nel frattempo non ha visto “fermarsi il mondo”, ma ha visto Messina continuare a vivere e il popolo di sinistra assistere alle lacerazioni di un partito che in Consiglio comunale non ha votato unito una sola volta. A fine settembre, lo stesso triunvirato che ha deciso nell’ottobre 2013, Rinaldi-Laccoto-Panarello, conferma l’intesa e scongela un segretario che servirà solo come parafulmine e paravento. In barba a chi chiedeva commissariamento o congresso si procede, grazie alla complicità di chi contava su uno strapuntino nel Coordinamento, alla formazione di un organismo appunto, che contiene tutte le anime (anche di chi, come renziani e civatiani, aveva protestato fino a un’ora prima) ma non la reale volontà di ricreare unità. Da ottobre ad oggi sono trascorsi altri 4 mesi senza registrare un solo passo in avanti, perché quel Coordinamento è stato solo l’occasione per incontrarsi come nelle “riunioni degli ex alcolisti anonimi” e questo perché le stanze delle decisioni, oggi come nei due anni trascorsi, sono altre e altrove. In consiglio comunale ognuno va per la sua strada e spesso sono opposte. Neanche sul Piano di riequilibrio c’è stata posizione compatta e del resto, in questo momento, non si capisce neanche chi possa essere dire con serenità di “rappresentare” il Pd. La manifestazione del 14 febbraio ha visto tra i promotori mezzo Pd e sfilare in corteo tutte le anime, tutti i consiglieri e i deputati, ma non c’era una bandiera e non poteva esserci, perché ad esempio non c’è stata alcuna espressione ufficiale del Pd in una delle tematiche più vitali per Messina. Semplicemente non c’è segreteria. Da due anni. Dopo l’annuncio della mozione di sfiducia da parte dei Dem, a gennaio, è scoppiata la nuova rivolta. In molti hanno chiesto al segretario Ridolfo un passo indietro, in tanti hanno continuato a reclamare il Congresso cittadino e persino Panarello sta ipotizzando un commissariamento. L’accordo di ferro che il deputato aveva stretto con Rinaldi e Laccoto su Ridolfo ha iniziato a vacillare per i fatti legati alla campagna elettorale di Milazzo, che stanno vedendo i genovesiani sostenere Pino contro il candidato delle altre correnti, gruppo Panarello in testa (che ha contestato a Ridolfo un comportamento poco parziale) Così quel segretario che “faceva comodo” a molti, voluto sotto la bandiera di un’unità più apparente che reale, improvvisamente, non è stato più tale. E sono riprese le proteste. Una situazione che logora lo stesso Ridolfo, costretto ad una condizione quasi di “ostaggio” e diviso tra una parte del partito che reclama il rinnovamento ed un’altra che non ne ha alcuna intenzione.
Nel mezzo però c’è una data: il 31 marzo 2015. Se non si procederà con il tesseramento e con l’avvio delle procedure sarà impossibile svolgere il Congresso nel 2015 e la stagione del rinnovamento slitterà al 2016. Un altro anno senza guida quindi, senza una strategia condivisa.
Ci sono quindi due fronti: da un lato chi vuole il Congresso nel 2015 e dall’altro chi conta in un altro anno di paralisi.
E’ evidente che l’Area Dem, il triumvirato Rinaldi-Laccoto-Panarello (sia pure per motivi diversi) e a quanto pare i vertici regionali, puntano a non consentire il Congresso entro il 2015. Il 25 febbraio inizia il processo nei confronti di Francantonio Genovese e che vede coinvolto lo stesso Rinaldi, in primavera ci sono le amministrative. Insomma un anno è lungo e se da un lato molte cose possono evolversi dall’altro una situazione di stallo è l’ideale per chi è al timone del partito. Sia Laccoto che Panarello da mesi sono all’opera per coprire leadership e per ampliare il posizionamento, anche se sono consapevoli che prima o poi dovranno passare la mano (soprattutto all’Ars). Meglio quindi crearsi una squadra. Un Congresso nel 2015 esporrebbe quindi chi finora ha guidato il partito ad una guerra per le tessere che nessuno vuole e “all’assalto” di chi è stato lasciato nelle seconde e terze file, compresi molti dell’Area Dem stanchi di essere portatori di acqua. Insomma un Congresso nel 2015 sarebbe un bagno di sangue. C’è poi il teorema Picciolo e la famosa Opa che, qualora si aprisse il tesseramento potrebbe vedere le truppe Dr prendersi quelle praterie che si sono aperte.
Il pallino è in mano a Raciti (che deve decidere una volta per tutte se scongelare il partito o meno) e di Ridolfo, che potrebbe, stanco della situazione, chiudere una stagione d’incertezze e polemiche. Il fronte generazionale dei più giovani sta pensando ad una richiesta di auto convocazione e a forme di protesta più incisive.
La domanda è: a chi serve un partito dilaniato, senza più alcun impatto sul territorio e sempre più distante dal suo elettorato?
Rosaria Brancato