C’era una volta: i Molini Gazzi, la Birra Messina, i cantieri Rodriquez

In principio furono i Molini Gazzi. Nell’indifferenza 120 anni di storia e d’imprenditoria messinese furono cancellati in poco tempo e la farina lasciò il posto alla polvere della demolizione. Gli storici stabilimenti industriali di fine ‘800 hanno lasciato il posto ad un progetto per la costruzione di palazzine, “I Granai”. Di lì a poche decine di metri stessa sorte toccherà ad un altro pezzo di memoria industriale, la Birra Messina. Anche qui il partito del cemento ha deciso che il futuro si chiama edilizia residenziale e sorgerà il “Parco Trinacria”. Spostiamoci verso il centro. Quando nel ’92 l’allora presidente della Regione Rino Nicolosi si arrampicò tra le favelas del Tirone rimase senza parole. Dal suo sconcerto nacque quella legge sul risanamento che si tramutò nel più grande serbatoio di voti e di fallimenti degli ultimi 20 anni. Il Tirone prese quel nome dopo il 246 a.C. con l’assedio di Gerone. Era una finestra di orti e giardini sul mare e col passare dei secoli divenne un vero e proprio borgo produttivo. Nel 2000 si pensò di far rinascere quell’antico quartiere con un progetto destinato alle botteghe orafe e artigiane. Strada facendo il progetto si è trasformato e ora prevede parcheggi, centro commerciale, palazzi per uffici pubblici. Il nostro viaggio potrebbe continuare attraverso la zona falcata, passando per la Fiera, per il porto, per il Torrente Trapani, fino alla Mortelle-Tono. Ma davvero l’unico destino, l’unica risposta possibile allo sviluppo è il mattone? Il confine tra crescita e speculazione edilizia è labilissimo e la stessa domanda se l’è fatta l’assessore Corvaja nello stilare le direttive al nuovo Prg: “L’edilizia autodistrutta dalla sua stessa incapacità di convertirsi da attività speculativa e divoratrice di suolo, votata al saccheggio del territorio, dopo aver aggredito anche le ultime propaggini collinari è entrata in crisi, complice un sistema politico incapace di indicare nuove strategie di sviluppo”. L’ha scritto lui, non io, non un’associazione ambientalista. L’ha scritto dopo tre anni di valutazioni che hanno fatto emergere, tra l’altro, che il 16% del patrimonio edilizio è inoccupato e che il volume attuale supera di gran lunga i 70 milioni di metri cubi. La domanda è, perché dobbiamo continuare a costruire palazzi e non risorse? Se continuiamo a realizzare case chi le comprerà in una città di giovani che emigrano, precari, disoccupati, cassintegrati, dove le famiglie fanno la fila davanti ai Compro oro per svendere i gioielli? Non sono contraria al cemento, sono contraria alla speculazione. Sulla Mortelle-Tono, ad esempio, mi piace moltissimo il progetto di Bohigas, la promenade, gli orti urbani, invece non mi piacciono affatto le villette abusive costruite sulla costa, il degrado, gli allacci fognari improvvisati. Comprendo il sospetto che si voglia far entrare dalla finestra quel che non è entrato dalla porta, ma il confronto serve a questo, i “no” senz’appello uccidono il nostro futuro. La madre di tutte le domande è: che tipo di sviluppo vogliamo? I Molini Gazzi producevano “cose”, erano pane e lavoro per centinaia di famiglie. Erano un pezzo della nostra storia e memoria. Lo stabilimento é stato rifugio durante la seconda guerra mondiale, deposito di ricchezza nel dopo guerra, quando, unico stabilimento in Sicilia con due produzioni distinte, per grano duro e grano tenero, produceva 300 tonnellate al giorno, è stato quel grano che finiva nella pasta dei marchi messinesi Triolo e Puglisi. Mentre la farina lasciava il posto alla polvere delle ruspe son venuti fuori reperti storici e persino una tomba tholos dell’Età del bronzo. Sulla Birra Messina non ho bisogno di aggiungere nulla, perché il suo nome è finito nelle tavole di migliaia di persone nel mondo. Ora gli operai sono in una cassa integrazione attaccata al filo sottile degli impegni presi (e fin qui disattesi) dai Faranda, che al posto dello stabilimento costruiranno un complesso residenziale e legano la ricollocazione della fabbrica al cambio di destinazione d’uso dell’area in via Bonino. Quando uso il termine “storia della nostra città”, non intendo una “cosa morta”, ma la capacità di creare, di fare, di sognare. Intendo il modo in cui una collettività si forgia “un’identità” propria, distinta da tutte le altre. La Birra Messina, i Molini Gazzi non erano solo fabbriche, erano “Messina”, la spina dorsale, il genio creativo,l’anima di una comunità che cresce. I cantieri Rodriquez hanno portato la nostra immagine nei mari di tutto il mondo. Possiamo anche decidere di cancellare la nostra identità storica, ma dobbiamo chiederci:con cosa vogliamo sostituirla? Lo stesso assessore Corvaja individua un futuro nel turismo culturale, fieristico,crocieristico,settoriale, mordi e fuggi, e sulla promozione dei nostri beni artistici, paesaggistici, storici. Più che costruire appartamenti abbiamo bisogno di progetti e investitori per la cantieristica, i porticcioli, per ridisegnare la zona falcata, l’affaccio a mare, la Fiera, per tornare a produrre, navi, barche, cose. A Venezia il vecchio Mulino Stucky sul canale della Giudecca è stato trasformato in Hotel, a Biella gli ex lanifici sono sedi di Fondazioni culturali, a Parma Renzo Piano ha trasformato l’ex zuccherificio Eridania in un Auditorium, a Catania, per non andar lontano, ci sono le Ciminiere e le Officine dello zolfo. Di fronte a noi Falcomatà ha ridisegnato uno dei più bei lungomare d’Italia. Se cancelliamo la nostra memoria economica ed imprenditoriale non trasmetteremo nessuna identità alle future generazioni. Stiamo attenti, questo è un momento delicatissimo, perché alla vigilia di una serie di tornate elettorali, il Prg va all’esame del consiglio comunale. E’ non solo il nostro strumento urbanistico, ma la nostra unica possibilità per immaginarci la Messina dei prossimi decenni. Se la scambiamo con un voto, con una “concessione” per il nostro giardino, se lasciamo che altri decidano, allora poi non lamentiamoci delle macerie.Impariamo a leggere le parole nascoste dietro le mappe e i progetti e battiamoci per la nostra Messina che è sempre quella dei nostri padri che lavoravano grano e luppolo, sognavano in grande, ma quel sogno lo realizzavano sul serio, giorno per giorno. Senza delegarlo ad altri.