di Alberto Randazzo*
Il rinnovo degli organi del Comune, e in primis del Sindaco, costituisce com’è ovvio un momento fondamentale per coloro che abitano quel territorio, a motivo delle notevoli implicazioni e ricadute che esso ha sulla vita di questi ultimi. Come si sa, proprio al Comune, in quanto ente più vicino al cittadino e quindi in grado di coglierne le esigenze e le istanze, sono affidate in prima istanza le funzioni amministrative, in forza del principio di sussidiarietà, importato nell’ordinamento italiano dalla Dottrina Sociale della Chiesa e, nel 2001, costituzionalizzato nell’art. 118 della Carta fondamentale. La vicinanza (richiamata anche da Francesco nel discorso ai sindaci del 5 febbraio 2022) deve a mio avviso tradursi in prossimità, che implica il prendersi cura (cfr. Lc 10, 25-37) e che deve essere il fil rouge che tiene insieme le varie manifestazioni dell’amministrare.
Ecco perché agli organi del Comune è affidato l’importante compito, che si tramuta in responsabilità, di consentire la convivenza, ma anche la conservazione e l’evoluzione del gruppo sociale stanziato su quel territorio. Per fare ciò è necessario favorire la coesione (e, quindi, la pace) sociale e la partecipazione alla “cosa pubblica”. Alla classe politica, infatti, è richiesto di creare una vera comunità (che quindi ingeneri il senso di appartenenza), non alimentare le fazioni, favorire il dialogo e, per dirla con don Tonino Bello, la “convivialità delle differenze”, perché queste ultime – da non confondere con le diseguaglianze che gli amministratori devono invece combattere – possano essere ricchezza per tutti.
Occorre al tempo stesso ricordare che l’avversario politico (che tale rimane) deve essere rispettato ed ascoltato, nella consapevolezza che le scelte politiche (per essere democratiche) si nutrono del dissenso. Com’è ovvio, non si esclude il conflitto ma l’operatore di pace sa che “deve farlo evolvere verso una forma nuova di incontro e di convivenza con l’altro” (Francesco, 5 febbraio 2022).
Si tratta allora di curare “la buona qualità delle relazioni” che è “la vera sicurezza sociale in una città”. La “pace sociale”, alla quale accennavo poco sopra, “è frutto della capacità di mettere in comune vocazioni, competenze, risorse” (Francesco, 5 febbraio 2022); ciò, al tempo stesso, richiede di incoraggiare quelle forme di “sussidiarietà orizzontale” di cui discorre il 4° comma dell’art. 118 Cost.
In generale, sulla scia dell’insegnamento di Aristotele, com’è noto, meta finale della Politica è il perseguimento del bene comune, che non è certo la somma dei “beni” individuali, ma la sintesi degli stessi. A questo proposito, un buon amministratore (latamente inteso) è colui che si ricorda di “non identificare mai se stessi o i propri interessi, o anche le proprie idee, con il bene comune”, come insegnato da Vittorio Bachelet (storico Presidente generale dell’Azione Cattolica italiana). Questa è una prima e imprescindibile condizione che deve attuarsi e che i cittadini devono pretendere.
Nell’impegnarsi in questa direzione, gli amministratori locali sono i primi ad avere la responsabilità di predisporre le condizioni per una effettiva tutela dei diritti fondamentali dei cittadini. Infatti, se l’azione amministrativa è chiamata a realizzare l’interesse generale (appunto, collettivo), la meta ultima alla quale essa deve tendere non può che essere la promozione della persona umana, fulcro e fondamento della Costituzione italiana.
A questi fini, quindi, è necessario che vi sia una stretta connessione tra il territorio (e quindi gli abitanti dello stesso) e coloro che amministrano. Solo così, questi ultimi possono mettersi in ascolto delle esigenze reali del “loro” popolo. Tale compito è tutt’altro che scontato e agevole, ma di primaria importanza; come ha detto papa Francesco ai sindaci, “un buon ascolto aiuta a fare discernimento, per capire le priorità su cui intervenire”. Viene in mente quanto si legge in Evangelii gaudium 155: “non bisogna mai rispondere a domande che nessuno si pone”; occorre quindi rifuggire da comode scorciatoie che a volte rischia di prendere l’azione politica intervenendo in ambiti dai quali possa derivare un ritorno in termini di consenso.
In altre parole, quella dei “followers” è una logica illusoria che non sempre coincide con il reale benessere della società. A quest’ultimo proposito, sia consentito osservare che occorre ritornare alla valorizzazione dei corpi intermedi (partiti, gruppi, associazioni), ai quali riaffidare il compito di primi catalizzatori delle istanze sociali. La loro presenza capillare (ci si augura) sul territorio è infatti decisiva per cogliere le reali necessità, i problemi e le proposte dei cittadini. Ciò comporta, però, rivedere l’allettante idea di leader (completamente diversi da quelli del passato) che entrino in diretto contatto con i cittadini ma che non siano davvero guide di forze politiche e sociali capaci di interpretare i bisogni della gente (l’inconsistenza dei leader, ad es., è emersa, a livello nazionale, in occasione della recente elezione del Presidente della Repubblica). Oggi, infatti, assistiamo ad un leaderismo narcisista, anche favorito dai social (che non voglio assolutamente demonizzare, ma che richiedono di essere usati in modo sapiente), che non fa il bene della democrazia. Rispetto a quest’ultima, per inciso, non v’è dubbio che le nuove tecnologie possano essere preziose, ma ciò dipende dall’utilizzo che se ne fa.
Non si intende dire che il Sindaco, ad es., non debba confrontarsi con i cittadini, tutt’altro. Ma sono convinto che il fenomeno di disintermediazione al quale oggi si assiste sia dannoso a tutti i livelli (ad incominciare da quello locale).
Non voglio ora discutere dei problemi più seri che riguardano la città di Messina, non c’è lo spazio per farlo. L’intento di queste poche righe è quello di mettere in luce uno stile, a mio avviso auspicabile, che i nostri rappresentanti sono chiamati ad adottare.
A quest’ultimo proposito, e facendo un discorso generale, non si può fare a meno di ricordare che una “bussola” che deve guidare il cammino degli amministratori è rappresentata dall’art. 54 Cost., a norma del quale “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”. Questi ultimi due lemmi impegnano, ingenerano responsabilità, implicano senso delle istituzioni, richiedono moderazione nel linguaggio, sobrietà nei comportamenti e molto altro. Quando discorro di questa previsione costituzionale mi viene sempre in mente l’immagine di Aldo Moro sulla spiaggia in giacca e cravatta, insieme alla figlia; quando lei gli chiedeva come mai fosse vestito così, il costituente cattolico rispondeva che “essendo un rappresentante del popolo italiano doveva essere sempre dignitoso e presentabile” (come sembra aver detto Agnese Moro). I tempi sono diversi e certamente non bisogna fermarsi all’aspetto esteriore, ma questo esempio dà comunque l’idea del senso dell’art. 54 Cost., che deve essere “incarnato” in un preciso stile, che è poi il frutto di un sentire interiore.
Ancora su un piano generale, chi amministra è chiamato non solo ad essere primo attuatore della Carta fondamentale, orientando il proprio operato ai valori costituzionali, ma anche a favorire la diffusione dell’etica pubblica repubblicana della quale è “impregnata” la Costituzione. Per quanto scontato possa apparire, quando ciò non accade (o non accade del tutto) l’amministratore tradisce il giuramento che in alcuni casi fa, ma in generale viene meno al compito affidatogli dai cittadini. Questi ultimi devono poter provare fiducia nelle istituzioni e, quindi, in coloro che operano all’interno di esse. Tuttavia, tale fiducia (che deve prescindere dalle appartenenze politiche) deve essere meritata e preservata, costruita giorno per giorno grazie alla credibilità che deve connotare i rappresentanti.
Da ultimo, mi preme ricordare l’insegnamento di Paolo VI (ripreso da altri pontefici, tra i quali Francesco): “la politica è una maniera esigente […] di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri” (Octogesima adveniens 46). Ciò implica, quindi, il dovere di “partire dai poveri per servire il bene di tutti” (Francesco, 5 febbraio 2022). La primaria attenzione, allora, deve essere rivolta alle “periferie” non solo geografiche ma anche esistenziali (per riprendere un concetto assai caro al Santo Padre).
Non voglio pensare che quanto detto appartenga al mondo delle illusioni, preferisco credere che possa costituire una strada da percorrere, un motivo di impegno per chi, consapevolmente, scelga di prendersi sulle spalle una città, anche la nostra.
*Presidente diocesano dell’Azione cattolica di Messina. Docente di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università degli Studi di Messina. Fa parte del Gruppo di Lavoro RUS (Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile) “Inclusione e Giustizia Sociale”. È autore di diverse pubblicazioni aventi ad oggetto la tutela dei diritti fondamentali, la giustizia costituzionale, i rapporti tra diritto esterno e diritto interno