“….e invece prendo il numeretto e mi siedo. Chiameranno…
Ho il borsone rosso, quello bello, con dentro i miei pigiami-non-pigiami e le mie ciabatte-non-ciabatte. Li ho comprati per il ricovero. Volevo qualcosa che non sembrasse pigiama e non sembrasse ciabatte. Così che il ricovero non sembrasse un ricovero. E poi… il libro da ricovero, le parole crociate da ricovero, il diario da ricovero, mutande e calze. Niente reggiseni… non credo che potrò… non credo che potrò… come si dice? Che strano…Non trovo la parola… Non credo che… indossarli! Non credo che potrò indossarli… i reggiseni. Per lo meno qui in clinica. Durante il ricovero. Pigiama non pigiama e ciabatte non ciabatte non eludono il ricovero.
Quarantaquattro! IO!
Io e il mio borsone rosso andiamo all’accettazione, firmiamo.
Poi l’infermiera ci accompagna all’ascensore.
Il mio borsone rosso e io… io e il mio borsone… il mio borsone rosso e io…
Quinto piano.
Seconda stanza a destra.
Oddio che brutto. Il mio letto”.
(I miei occhi cambieranno, tratto da Certo che m’arrabbio di Celeste Brancato).
Ci sono semi piantati e che crescono col tempo, non sai quando, non sai dove, eppure fioriscono quando meno te l’aspetti. La storia della quarta mostra conclusiva del laboratorio di pittura, realizzata dai pazienti del reparto di oncologia medica del Policlinico ha radici lontane.
Nel gennaio 2013 il professor Giuseppe Altavilla assiste alla sala Laudamo allo spettacolo “I miei occhi cambieranno”, regia di Giampiero Cicciò, con Federica De Cola. Il monologo è dell’attrice e autrice messinese Celeste Brancato, che morirà di cancro al seno il 10 ottobre 2009, a Roma, prima di poterlo portare in scena.
Nella descrizione dell’ingresso in quella camera di una clinica romana “quinto piano, seconda stanza a destra”, con 4 donne e che vanifica la ricerca del “pigiama non pigiama, ciabatte non ciabatte”, il professor Altavilla si accorge che è identica alla stanza del suo reparto “che anzi, aveva 5 letti, uno in più”.
Tornando a casa l’oncologo decide di “cancellare” quell’immagine e inizia una rivoluzione che lo porterà ad avviare una serie di progetti di umanizzazione del rapporto paziente-medico ancora in corso. “Mi sono reso conto che nel mio reparto, al quinto piano, seconda stanza a destra, c’erano 5 donne. Tornato a casa ho deciso che dovevo fare terra bruciata e cambiare tutto”.
Ci sono altri semi piantati nel padiglione H del Policlinico e che hanno trasformato il Day Hospital e le corsie del quinto piano in 5 anni, grazie anche ad una donazione e all’accoglimento di due progetti nell’ambito del PSN per oltre 900 mila euro (progetti che saranno ultimati nei prossimi anni, primo fra tutti l’hospice).
Di semi in 5 anni ne sono stati piantati altri, grazie all’indimenticata e indimenticabile professoressa Antonella Cocchiara, alla quale si devono la “Stanza per se” (che richiama Virginia Wolf) e l’attenzione alla sofferenza delle donne che varcano la soglia dell’oncologia. Grazie alla Cocchiara che ha raccolto i fondi sono arrivate le parrucche ed ogni lunedì c’è il parrucchiere a disposizione delle pazienti. O ancora i semi piantati dallo stimatissimo Pompeo Oliva, che un giorno illuminò quelle stanze portando l’artista Piero Serboli e ben 15 artisti messinesi noti in tutto il mondo e che hanno donato i quadri.
Non ci sono più stanze con 5 posti letto e con il bagno esterno, ma camere singole o doppie con bagni interni, poltrone reclinabili “stiamo riducendo al minimo la necessità dei ricoveri, puntiamo ad evitarli”. I colori sono il celeste, l’azzurro, il verde acqua, ovunque ci sono quadri ricchi di simbologia, l’albero della vita, e persino l’uscita di sicurezza è stata trasformata in un grande affresco con gli interrogativi, le paure, i dubbi, le speranze, di chi varca quella soglia e sa che da quel momento in poi la sua vita, le sue cellule, la sua anima, saranno in mano ai medici. E allora la ricerca del “pigiama non pigiama” rischia di crollare se trovi un ambiente freddo, grigio, asettico.
Il reparto del professor Altavilla e di una straordinaria squadra di medici, infermieri, assistenti, è un’esplosione di umanità. Ad ogni angolo, affiancate alle opere di artisti messinesi, ci sono quelle dei pazienti e delle pazienti che hanno usato tele e pennelli per raccontare sé stessi e piantare nuovi semi che dureranno per sempre, lasciare una “staffetta spirituale”, di forza interiore, a chi entrerà dopo. L’esposizione inaugurata ieri al piano terra, al Day Hospital, è la conclusione del quarto laboratorio di pittura.
Lo spettacolo I miei occhi cambieranno il professor Altavilla lo ha fatto replicare alcune settimane dopo per i medici e il personale del reparto, alla presenza della professoressa Gensabella, per imparare ad andare oltre quello sguardo che ogni paziente ha nel momento peggiore, quando i “suoi occhi cambieranno per sempre. Anzi, sono già cambiati”. In quel momento incontri la morte e non sai chi vincerà. Sai che di fronte hai un estraneo, un medico e sai che non vuoi essere un numero, una cartella clinica, un posto letto. Sai che hai paura. E quando il Re muore, come scriveva Ionesco l’intero universo muore.
Il laboratorio di pittura, gli incontri con il dottor Aragona, psico-oncologo, la stanza tutta per sé con i libri donati dalla Sellerio e lo spazio per dipingere o semplicemente pensare, sono tutti tasselli che raccontano dell’urgenza di rimettere il paziente al centro dell’universo.
“Quando ho visto il monologo ho compreso che concentrandomi sui trattati scientifici di oncologia avevo finito col trascurare l’uomo- ha detto il professor Altavilla ad inizio di una piccola cerimonia emozionante- Devo ringraziare veramente tutti, dai medici dello staff, alle dottoresse che seguono i pazienti durante i laboratori creativi, agli artisti, ai vertici del Policlinico, all’insostituibile caposala Tanino Rizzo. Il Day Hospital è lo specchio dell’oncologia, qui si ha il primo approccio, qui si fa la chemio. Sono orgoglioso di essere riuscito a portare a finanziamento 2 progetti per oltre 900 mila euro e conto di realizzare finalmente quell’hospice al quarto piano che è stato chiuso e deve essere riaperto ma non con la concezione di stanza per ricoverare. Avevamo 30 posti letto, ora sono 12, la concezione deve essere questa. Mai più deve accadere che una persona compri un pigiama non pigiama per smitizzare l’immagine dell’ospedale e poi si ritrovi in una stanza con altre 4 pazienti. Il processo di umanizzazione inizia da noi, dalle persone e noi speriamo di essere virali con questo esempio….”.
Il grazie è andato a chi ha curato il corso, i maestri Josè Marino, Claudio Militti, Piero Serboli, Aurelio Valentini, e a chi ha ideato e organizzato la mostra, le dottoresse Francesca Albiero e Stefania Panetta.
Presente il direttore generale Vullo e il direttore amministrativo Laganga, nonché il rettore Salvatore Cuzzocrea che ha detto “ Il processo di umanizzazione riguarda la percezione ed è la percezione che cambia il volto di un ospedale. Oggi il Policlinico è freddo e se in una casa l’ingresso è freddo gli ospiti se ne accorgono. Dobbiamo imparare a superare i nostri limiti e lavorare tutti insieme e far sì che quanto si è realizzato in oncologia accada anche in tutti i reparti. Questi quadri resteranno al di là delle persone, la vera medicina non si fa soltanto con i computer. La Ferrari ha vinto perché aveva un grande pilota, non basta una macchina se non c’è un grande uomo che la guida”.
I dipinti sono straordinari. All’inizio i pazienti avevano timori, facevano bozzetti su carta, poi, lentamente, si sono aperti, e sono venuti fuori talenti, sogni, colori, sofferenze e speranze. Ci sono colori, sprazzi di sogni, tenui ondate di luce o forti scoss di passione. C'è la donna che cammina su un filo e tiene in equilibrio un cuore ed un cervello, su una bilancia, ci sono girasoli, mare in tempesta, cieli, labirinti.
“Non siamo solo lunghe chiome che ci hanno coccolato quando lo scirocco soffiava caldo e il maestrale impazzava- scrive Sabrina accanto al suo quadro- Ci siamo lasciate crescere i capelli per nascondere i nostri sentimenti. Siamo donne, con pensieri e sogni nascosti, se ci passi accanto riesci ad ascoltarli. Siamo bellezza e mistero, l’una che spesso è da riscoprire nel corso di una malattia, l’altra è un seme piantato alla nascita dalla mano di una fata. Siamo luce e illuminiamo il buio. Curatrici e giardiniere ed ogni germoglio è forza vitale”
Ps. A conclusione di una replica dello spettacolo a Roma il professor Masetti, senologo noto per la grande sensibilità nell’approccio alla malattia ha detto al regista Giampiero Cicciò: “sono rimasto colpito dal racconto che l’autrice fa del viaggio in auto per arrivare dal medico. Noi non pensiamo mai cosa provano le donne nel tragitto prima di sedersi davanti a noi. D’ora in poi voglio ASCOLTARE quello che diranno”.
“numero 44? IO! Prendo il mio borsone rosso e il mio pigiama non pigiama. Ho una paura tale che tra un po' mi cede la vescica” (I miei occhi cambieranno)
Rosaria Brancato