“Di cose brutte in questa nostra città ce ne sono tante: le strade piene di buche, i cassonetti ai limiti di qualunque decenza, aiuole senza manutenzione, zone mai risanate, beni ormai lasciati al loro destino, incompiute senza senso. Potremmo continuare all’infinito e la rabbia aumenta man mano che l’elenco si allunga. E intanto ci chiediamo perché. Perché dobbiamo vivere in una “dimensione” in cui gran parte di noi non si riconosce, non approva, non condivide? Perché i nostri figli devono crescere nella sporcizia, nell’abbandono, nel degrado? Perché? Questa è la nostra giornata della rabbia e se potessimo gridarlo lo faremmo con quanto fiato abbiamo in gola. E non perché oggi colpiscono la nostra sfera personale, ma perché non ne possiamo proprio più. Noi siamo quel piccolo mondo di Casa Serena fino a ieri isola felice, siamo sotto una tenda a fare lo sciopero della fame per attirare l’attenzione sui nostri sacrosanti diritti”.
Inizia così la lettera che i lavoratori di Casa Serena, riuniti nel Movimento spontaneo, hanno scritto dopo aver trascorso la prima giornata in sciopero della fame (vedi correlato), accampati sotto un gazebo sistemato nel giardino della struttura di Montepiselli, in protesta per veder rispettato un loro diritto. Hanno lasciato a casa i loro figli, le famiglie, vorrebbero poter tornare con un po’ di serenità in più perché quando non ci sono i soldi per fare la spesa e pagare le rate del mutuo l’esasperazione prende il sopravvento. Nella loro giornata della rabbia rivogliono indietro il futuro che in questo momento non vedono più, vogliono quello che spetta loro per il lavoro dato, vogliono restituita la dignità. La lettera scritta sotto quel gazebo è un vero sfogo.
“Tutti a dirci che siamo tanti, tutti a rinfacciarci che costiamo troppo, tutti a indicarci con il dito dell’accusa come se in questi 25 anni avessimo “scroccato” impunemente lo stipendio che portiamo a casa. E basta! Non ne possiamo più! Non siamo noi che siamo troppi, troppi sono i politici che ci hanno governato e amministrato così male. Non siamo noi che prendiamo compensi da favola, noi lavoriamo per poco meno o poco più di mille euro. Ma vi siete chiesti se il nostro essere “tanti” ha prodotto, in tutti questi anni di lavoro e di impegno, un beneficio nella nostra città? Se lì dove siamo presenti la gente sta avendo finalmente una “marcia in più” nella propria vita quotidiana già tanto provata e difficile? Parliamo di anziani, di disabili, di famiglie disagiate, di bambini con poche opportunità, di giovani che devono decidere da che parte andare ed hanno le idee confuse. La nostra città non è solo abbandonata, la vogliono anche muta, cieca e sorda!”.
Loro non vogliono più sottostare a tutto questo. Dicono basta a quella politica che per anni si è servita di loro perché i lavoratori dei servizi sociali, soprattutto a Messina, sono sempre stati un bel bacino di voti. Sono pronti a bruciare anche le schede elettorali, quella politica in cui hanno creduto si è esaurita nelle rate da pagare, nei mutui non rispettati, nelle bollette che aumentano di mese in mese.
“Dov’erano i nostri politici mentre chiedevamo aiuto, di che cosa parlavano, a cosa pensavano quando, richiamati ai loro doveri istituzionali, rimandavano e lasciavano ad altri le responsabilità per cui erano profumatamente pagati?” si chiedono oggi.
Non hanno più fiducia, non crederanno ad altre promesse, chiedono solo i loro stipendi. Per i lavoratori di Casa Serena e per tutti i colleghi dei servizi sociali che soffrono una gestione che negli anni ha messo in ginocchio i lavoratori. Continueranno a restare accanto ai deboli, agli anziani, ai disabili. Ma vorrebbero anche poter tornare a casa senza vergogna. (Francesca Stornante)