Cronaca di un viaggio virtuale: -A spasso per le vie deserte di New Orleans-

Chiudo un attimo gli occhi e mi vedo arrivare a New Orleans: percorro la Stephen E Ambrose Memorial Pkwy da est e tramite il ponte che collega Howze Beach a South Point entro nel centro della città, affacciandomi sul grandissimo porto marino che è una delle fortune della Louisiana.

New Orleans è una grande metropoli che, compresi i sobborghi nella periferia della città, conta più di un milione di abitanti. Eppure in queste ore sembra un paese fantasma, con dieci mila cittadini appena rinchiusi, impauriti, nelle loro case: sono stati soprannominati -gli irriducibili- dalle autorità, che hanno mobilitato l’esercito dando l’autorizzazione a sparare su chi si trova in giro.

Ogni tanto qualche macchina della -Police- con le sirene spiegate corre tra una via e l’altra: le strade sono deserte, abbandonate, con alberi divelti dal forte vento e c’è acqua ovunque.

I cittadini sono fuggiti tutti, sono al riparo dall’Uragano e a città non è più quella di tutti i giorni.

Non sono mai stato a New Orleans, eppure mi sembra di conocerla. Una città a metà tra Francia, Stati Uniti d’America e Senegal a causa di quei neri che importarono la cultura Jazz nel nord America diffondendola a macchia d’olio, e facendone a New Orleans la capitale culturale.

L’ultima volta che ero stato virtualmente da queste parti era a fine agosto 2005, quando l’Uragano Katrina, ben più violento di Gustav, aveva ucciso duemila cittadini causando allagamenti devastanti.

Stavolta la cittadinanza non s’è fatta cogliere di sorpresa, e comunque l’Uragano è stato molto meno violento.

Ma io sono comunque in una città sconvolta, fantasma, ferita dalla violenza di questi fenomeni Atlantici che molto spesso si fiondano nel Golfo del Messico: la zona costiera tra Texas, Louisiana e Mississipi è da sempre storicamente abituata a questo tipoi di Uragani.

L’atmosfera è surreale, il vento soffia a più di 100km/h e l’acqua cade copiosa. Alcune insegne pubblicitarie e di negozi sono rimaste accese, nella speranza di dare un chè di vita alla città abbandonata.

Piove, piove forte e il vento soffia tra le vie, le strade, i grattacieli.

L’odore che si respira è quello acre di morte, di disperazione, di lontananza e abbandono: è tutto deserto, le porte sono sbarrate, stavolta per fortuna non ci sono neanche gli sciacalli che avevano fatto razzìe e si erano arricchiti grazie a Katrina tre anni fa.

Sono solo che cammino in queste strade, ci sto con la mente e con il cuore ma sono presente solo in modo virtuale, quindi sono libero di scorrazzare tranquillamente poichè, essendo trasparente, non mi vede nessuno dell’esercito e dei marines.

Potrei essere l’unico sciacallo di New Orleans, e decido di diventarlo: ho fame di sapere, di conoscere la storia di questa città tormentata dagli Uragani, di capire il sentimento della gente.

Vedo una casa con la porta socchiusa, una classica villetta americana con annesso giardino e garage, con una luce accesa all’interno.

Entro e trovo una donna anziana, di carnagione scura, seduta su una poltrona a riscaldarsi con le coperte che segue con attenzione l’ultima edizione straordinaria del tg della Cnn completamente dedicato all’Uragano Gustav: sorpresa della mia intrusione mi chiede impaurita chi sono, che voglio da lei, che ci faccio lì. La blocco sul nascere, le spiego velocemente che non le farò del male, che vengo in pace ma le faccio capire subito che qui le domande le faccio io.

Parliamo due ore senza neanche accorgermene, esco salutandola affettuosamente molto più ricco di prima: adesso so meglio come vive la gente del posto, chi è, da dove viene, come la pensa, che tipo di mentalità ha …

Mentre torno verso il centro, noto un’altra porta aperta, ma non socchiusa: è completamente scardinata dal vento. Entro ed è tutto buio.

Fogli volano qui e lì, a terra è tutto bagnato: i padroni di casa sono scappati verso l’entroterra ma il vento furioso ha scardinato la porta e sta distruggendo gli interni dell’abitazione.

Sopra il caminetto trovo una foto di due adulti nel giorno del loro matrimonio, lui nero, lei bianca, con sotto un bigliettino che recita: -We miss much.

But it is still early to reach you.

Katrina has taken away from us, and we go away from Gustav.

Will return alive, to ask every night, because you still live in our memory.

With affection, your children

Liz, Augustine, Hyram and Kalyn-

E cioè:

-Ci mancate tanto.

Ma è ancora presto per raggiungervi.

Katrina vi ha portato via da noi, e noi andiamo via da Gustav.

Torneremo vivi, a pregarvi ogni sera, perchè voi vivete ancora nella nostra memoria.

Con affetto, i vostri figli

Liz, Augustine, Hyram e Kalyn-

Commosso, posiziono un mobile pesante davanti alla porta, la chiudo e la sbarro da fuori con il tronco di un albero caduto nelle vicinanze, in modo da cercare di preservare l’abitazione da ulteriore scompiglio, e torno a passeggiare per le vie principali, piene di palme e ricche di luci sprigionate con potenza dai lampioni, molto belli e alti, che sono simbolo di modernità.

Alcuni negozi hanno lasciato le vetrine aperte e illuminate, senza abbassare le saracinesche: è questo che dà un senso di vita al centro, l’unica cosa forse che riesce a trasmettere speranza e positività.

Solo così ricordo che mi trovo in una grande metropoli e non in un paesino fantasma, e che tra pochi giorni tutto tornerà come prima.

Ad un tratto smette di piovere, si placa il vento e spunta il sole. Prima timido, poi sempre più forte.

Iniziano a cantare gli uccellini, e i -diecimila irriducibili- escono di casa festanti, dando nuovamente vita alla città.

Sono felice anche io, e decido di rincasare.

Mentre sto percorrendo una via periferica, vedo in lontananza l’anziana di origini senegalesi con cui avevo parlato per ore che è uscita in gardino e con molta intraprendenza sta sistemando e ordinando tutt’intorno casa.

Mi vede, sorridente mi saluta.

Torno a casa con il cuore pieno di gioia.

Apro gli occhi e sono qui comodamente seduto dentro le mie robuste mura di cemento armato.

Non mi sono mai mosso, eppure stasera mi sembra di aver vissuto uno dei viaggi più lunghi e intensi della mia vita.

Merito, anche questo, del mondo globalizzato e del web, dei mass media interattivi che ti consentono di vivere realtà lontane centinaia di migliaia di chilometri immedesimandoti nella realtà al 100%.

Qui, dove siamo abituati a parlare di -temporali devastanti- per 10 minuti di nubifragio che scaricano 15mm di pioggia al suolo, e di -venti furiosi- quando superano i 60km/h, è tutto più calmo, placido e tranquillo.

Monotono, noioso se vogliamo.

La stagione degli Uragani è nel clou in Atlantico, qui invece sta per finire l’estate e iniziare l’autunno: la stagione più emozionante per noi meteo/appassionati affamati di fenomeni estremi dell’atmosfera a tal punto da sognarli ad occhi chiusi di notte, ma anche ad occhi aperti in pieno giorno.

Foto http://www.corriere.it/