Un ultimo ricordo per lo scomparso viale di Chorisie dell’Orto Botanico

Un nativo dell’Africa Equatoriale trasportato ipso facto sulle Alpi avrà poche possibilità di sopravvivenza; la sua evoluzione ed il suo abbigliamento non consentiranno di sopravvivere in un clima tanto diverso dal suo.

Anche per gli alberi vale lo stesso principio; una specie che si è evoluta in un clima tropicale non è dotata delle difese fisiologiche utili a resistere ai ristagni idrici, all’asfissia del suolo ed ai marciumi radicali.

Alberi appartenenti a queste specie si possono adattare a climi più miti ma per non danneggiarli bisogna evitare improvvisi aumenti del regime di approvvigionamento idrico limitandosi all’apporto delle piogge stagionali.

In quanto appartenenti ad una specie originaria di zone tropicali le Chorisie che fiancheggiavano il viale di ingresso dell’Orto Botanico erano in grado di sopportare l’improvvisa ed eccessiva umidità anche se adattate al nostro clima?

Non sarebbe stato opportuno fare questa verifica prima di installare nelle loro aiuole un sistema irriguo per aspersione capace di erogare notevoli volumi di adacquamento?

Questi alberi hanno subito un’improvvisa variazione del regime idrico e, non essendo stato predisposto un valido sistema di drenaggio, il loro substrato pedologico è divenuto ambiente favorevole per l’asfissia del suolo che per lo sviluppo di marciumi radicali.

In pochi anni queste belle piante, degno ornamento di una delle poche testimonianze della “Città Giardino”, sono disseccate oppure è stato necessario abbatterle (le foto dei ceppi in photogallery) per motivi di sicurezza; ne restano solamente due a ricordo della continuità di una delle più eleganti alberate cittadine.

Sfortunatamente non è l’unico caso di scempio perpetrato ai danni del patrimonio arboreo storico.

Anche il doppio filare di Cycas una volta esistenti all’interno della Fiera è stato annientato.

In quel caso sono stati asportati simultaneamente le decine di propaguli presenti su ognuno dei fusti (le foto prima e dopo in photogallery).

Questi pregiati esemplari, peraltro già in sofferenza, non hanno resistito ad un intervento tanto invasivo ed irrazionale e sono morti privandoci di un elemento di arredo particolarmente significativo sia per le dimensioni delle piante sia per la loro disposizione poiché raramente le Cycas vengono utilizzate in doppio filare.

Altro duro colpo inferto al patrimonio arboricolo cittadino si identifica nell’abbattimento di piante storiche all’interno di Villa Mazzini; in questo caso sono stati abbattuti Carrubi, una Brahea ed altri esemplari storici e pregiati solo a seguito di un’analisi visiva senza il supporto di analisi strumentali (le foto prima e dopo in photogallery).

Episodio similare è rappresentato dall’errata scelta della palme brasiliane utilizzate per “arredare” il lungomare di S. Margherita; il pessimo risultato conseguito rappresenta un ulteriore elemento negativo della gestione del verde urbano (le foto in photogallery).

Potrebbe esserci un nesso che collega tali avvenimenti individuabile nell’impunità della quale beneficiano i responsabili di queste azioni scellerate.

Infatti, al presentarsi del pericolo la falange verde si compatta in difesa dei suoi componenti ed allora è possibile ascoltare le teorie più strane: è stata colpa di un fungo senza dire quale o come è stato identificato, le piante avevano una prospettiva di vita di soli venti anni (????) e quindi si possono abbattere, la rigida disposizione geometrica contrasta con la naturalità dei Monti circostanti, le Chorisie hanno le spine e gli uccelli si potrebbero pungere, fino ad arrivare alle tesi più ridicole secondo le quali l’asfalto dovrebbe contenere sali minerali ottimo nutrimento per gli alberi oppure incolpando le alluvioni ma solo quelle dal 1700 ad oggi.

Inquadrato in un contesto di indifferenza generale tutto questo viene amplificato quando trova spazio nella stampa pseudo alternativa che funge da cassa di risonanza per la falange verde.

Viene così ingannata una classe dirigente e politica priva (non per colpa) delle competenze necessarie e, quindi, impossibilitata a salvaguardare quel poco di verde storico rimasto in città fermando tali scempi .

Però, considerato il ripetersi di questi brutti episodi, dirigenti ed amministratori potrebbero provare a dare risposta ad un antico quesito siciliano:

chi sbaglia di più, quel poveretto di Giufà o chi gli dà retta?