Il primo dato emerge dai seggi: tra gli 11 deputati uscenti solo 2 ne sono stati riconfermati: Valentina Zafarana e Bernardette Grasso. Per il resto la pattuglia messinese all’Ars è stata totalmente rinnovata. Peraltro sia per la Grasso che per la Zafarana sarà il secondo mandato a differenza di quanti sono rimasti fuori alcuni dei quali avevano alle spalle anche 4 mandati, pertanto possiamo dire che si tratta di una rappresentanza quasi tutta nuova. L’unica eccezione, a dispetto del fatto che sia una new entry è quella di Luigi Genovese, ma il seggio è andato in eredità quindi non si può parlare di nuovo ingresso.
Passiamo quindi all’analisi di chi ha vinto e chi ha perso a Messina. L’analisi è importante perché l’esito di queste urne ci porta dritti alle amministrative del 2018 quindi a differenza delle altre realtà dell’isola c’è in gioco il futuro della nostra città.
La speranza è che quel 50% che domenica non è andato a votare capisca che la sua astensione la pagano tutti, anche i suoi figli e nipoti.
CHI HA VINTO
MUSUMECI ha vinto così come il centro-destra. Anzi possiamo dire che le percentuali di Messina, quegli oltre 137 mila voti e quel 47,58% per il neo presidente sono stati decisivi, esattamente come lo furono per la vittoria di Crocetta. Ancora una volta determinante è stato il peso di Genovese che ha spostato letteralmente i suoi 17 mila voti (erano quasi 19 mila ai tempi di Rinaldi) dal Pd a Forza Italia che con il 23,46% è il primo partito nel collegio di Messina. La coalizione di centro-destra ha registrato il 51,228% percentuale altissima. C’è stato il voto disgiunto anti Musumeci (pare sia stata l’area Genovese) perché tra lui e la coalizione ci sono tremila voti in meno e 3 punti in meno ma la mole di voti ha certamente determinato la vittoria.
Messina torna quindi ad essere di centro-destra: su 10 deputati ben 7 sono di centro-destra.
IL M5S ha vinto. I messinesi hanno dimostrato che vedono nel M5S l’unica vera opposizione a Genovese a Messina ed al centro-destra in Sicilia. Anzi, come vedremo, persino il Pd ha votato Cancelleri vedendolo come argine. In questi anni, almeno all’apparenza, sembrava che i pentastellati non avessero attecchito. Invece a fronte di un centro-sinistra debole, di un Pd svuotato da Genovese ma non in grado di essere forte, i messinesi hanno scelto il M5S. E’ una bocciatura della politica ondivaga, di una classe dirigente che ha lasciato le sorti della città per decenni in mano ad una sola famiglia e ad un gruppo di controllo. Anche Messina quindi ha fatto il suo voto di protesta. Non a caso nel comune capoluogo, Messina, il M5S è diventato il primo partito superando di 3 punti Forza Italia con oltre 21 mila voti ed il 23.55%. I messinesi hanno preferito non votare chi in questi anni ha dimostrato di non saper fare opposizione, sia essa opposizione a Genovese sia essa opposizione ad Accorinti. Quei 21mila messinesi hanno bocciato la classe dirigente degli ultimi 20 anni. Un segnale fortissimo anche in vista delle amministrative e che il centro-sinistra deve cogliere perché gli schieramenti ora sono netti.
FRANCANTONIO GENOVESE ha vinto. Rispetto allo zio Franco Rinaldi il neo deputato regionale Luigi Genovese ha preso in meno appena mille voti. I processi e le condanne non hanno scalfito il bacino elettorale della famiglia Genovese. In base ai numeri Genovese junior è il deputato più votato a Messina. Grazie ai suoi voti è scattato anche il secondo seggio per Forza Italia. Nonostante le polemiche, nonostante gli attacchi social, oltre 17 mila messinesi hanno espresso il voto per Genovese, che si appresta a far valere il suo peso se non con Musumeci, all’interno del partito e a Messina in vista di tutte le altre competizioni elettorali, amministrative comprese. E’ riuscito anche ad arginare l’elezione di Germanà per avere il totale controllo del partito, esattamente come ha fatto per il Pd dal 2006 al 2015.
PIETRO NAVARRA ha vinto– Il candidato della componente accademica, Franco De Domenico, ha doppiato Giuseppe Laccoto, con 11.224 preferenze (metà delle quali solo a Messina città), lasciando indietro il plurideputato di Brolo a 7.608. Laccoto sta pensando ad un ricorso per l’incandidabilità del direttore generale dell’Ateneo, ma l’esito delle urne ha chiarito che il Pd post genovesiano in questo momento è guidato dall’Università. Dietro i numeri di De Domenico ci sono anche il sostegno del gruppo Cilento e di Nino Bartolotta per la zona jonica ma è evidente che questo risultato è un punto fermo in vista delle Politiche e delle amministrative.
CATENO DE LUCA ha vinto- E’ di nuovo deputato regionale ma ha vinto perché è riuscito nell’impresa di conquistare una doppia partita: con 5.418 voti dei quali 4 mila presi a Messina, dirottando quindi i suoi della zona jonica su Danilo Lo Giudice, è riuscito in un colpo solo a 1)diventare deputato regionale facendo arrivare secondo Lo Giudice che potrà sostituirlo in caso di sentenze negative 2)iniziare ad entrare a Messina in vista della sua candidatura a sindaco. Gli si può dire tutto tranne che non sia uno stratega.
TOMMASO CALDERONE- ha vinto. Con i suoi 13 mila voti ha battuto in un colpo solo due deputati uscenti, Formica e Germanà, e ha ottenuto il secondo seggio
ANTONIO CATALFAMO– E’ il nuovo deputato regionale. Eletto nella lista Fratelli d’Italia-Noi con Salvini con 4.238 voti.
CHI HA PERSO
IL PD ha perso– 5 anni fa il Pd era l’epicentro della coalizione che appoggiava Crocetta. Adesso, svuotato dalle truppe di Genovese, paga le conseguenze di una serie di errori che non appartengono strettamente a questo Pd. Anzi in realtà oggi nasce il nuovo Pd, perché gli esiti delle urne sono legati agli errori generali e del passato. Rispetto al 2012 passa da 3 a 1 deputato. Il risultato riguarda anche la componente renziana della prima e dell’ultima ora, giacchè è vero che tra il Rettore Navarra e Renzi c’è una comune visione d’intenti ma è altrettanto chiaro che la nuova classe dirigente del Pd non sarà a trazione dei renziani della prima o seconda ora
LACCOTO– Dopo 4 mandati puntava al quinto ma soprattutto puntava al controllo del Pd e dell’eredità genovesiana. Obiettivi non raggiunti.
D’ALIA E ARDIZZONE hanno perso– Leggenda siciliana vuole che tutti i presidenti dell’Ars uscenti che si ricandidano non vengano più eletti. Così è stato anche per Ardizzone al di là della sua impeccabile e rigorosa conduzione dell’Assemblea. Il risultato della lista di AP a Messina, frutto anche di una serie di scontri e di strategie pre-elettorali errate, ha dimostrato un totale flop del gruppo D’Alia. La lista ha preso in tutta la provincia 11.733 voti, più o meno quanto da soli hanno preso singolarmente De Domenico, o Picciolo, o Germanà. Per chi ha governato ininterrottamente da 20 anni (sia nelle coalizioni di centro-destra che di centro-sinistra) il risultato di domenica è pesantissimo. Ed anche un segnale.
FORMICA ha perso– Veleggiava verso il sesto mandato e si è voluto ricandidare, facendo fuoco e fiamme all’ingresso di Germanà in lista. Il risultato per lui però è stato desolante. Si è fermato ai 6 mila voti.
Fuori dall’Ars anche Currenti, battuto per un soffio da Pettinato, ma in ogni caso per la lista Popolari e Autonomisti non è scattato il seggio
GLI ACCORINTIANI hanno perso– I risultati del gruppo che sostiene l’attuale amministrazione sono la prova che quanto accaduto nel 2013 è stato un voto anti, supportato al ballottaggio da chi poi in Consiglio ha fatto da spalla per 5 anni. Nella lista Cento Passi per la Sicilia il consigliere comunale Maurizio Rella si è fermato a 719 voti mentre la candidata di CMDB Ketty Bertuccelli a poco più di mille.
GLI ASTENSIONISTI hanno perso. Anche in questo caso andare a votare avrebbe potuto cambiare i risultati. Nessuno degli astensionisti a questo punto si lamenti di come hanno votato gli altri messinesi
CHI HA VINTO CON I NUMERI MA E’ RIMASTO FUORI
C’è poi una terza categoria che è fatta da chi ha registrato forti consensi ma è rimasto fuori per via del sistema elettorale. Il risultato personale ottenuto è comunque importante e costituirà la base per le prossime competizioni.
Iniziamo dai due deputati uscenti che non sono stati riconfermati. Sia Nino Germanà che Beppe Picciolo hanno ottenuto rispettivamente oltre 11 mila ed oltre 10 mila preferenze, un bacino di voti che pur essendo il doppio di quanti sono stati eletti all’Ars non è bastato. Nel caso di Germanà è stato scalzato da Tommaso Calderone che con oltre 13 mila preferenze è stato tra i più votati a Messina ed è arrivato terzo, mentre nel caso di Picciolo il seggio non è scattato per 102 voti (a favore di De Luca che è stato eletto). Entrambi restano fuori dall’Ars ma hanno gruppi solidi alle spalle e continueranno in prima fila le loro battaglie anche in vista delle prossime competizioni elettorali.
C’è poi Giuseppe Grioli, il più votato nella lista di Fava a Messina, con oltre 3 mila preferenze ma il seggio è scattato a Palermo. Per Grioli, che è MDP-Art.1 è comunque l’inizio di un percorso che continuerà riallacciandosi ad un impegno politico che dura da anni. C’è Ferdinando Croce tra i pionieri di Diventerà Bellissima e tra i giovani politici che non si è mai tirato indietro quando c’è stato da remare per portare impegno e risultato. Non ce l’ha fatta. Le sue oltre 3 mila preferenze non sono bastate. Primo è l’ex consigliere provinciale Galluzzo. Ma conoscendo Ferdinando non si fermerà.
QUESTI dati devono far riflettere soprattutto in vista delle Politiche e delle amministrative. Si sono formati due fronti netti: in un fronte la leadership è ancora targata Genovese, nell’altro il M5S. Il centro-sinistra e l’area moderata devono mettere per sempre nel cassetto il manuale di Tafazzi e ricominciare da capo. Dopo un bagno di umiltà.
Queste Regionali sono da studiare attentamente, per molti rappresentano una lezione da imparare a memoria, per altri uno stop, per altri l’ultima occasione per cambiare. Per Messina queste elezioni rappresentano lo start di una difficilissima partita dalla quale dipenderanno le sorti delle future generazioni.
Rosaria Brancato