Una tragedia vissuta insieme, una cronaca “costruita” attimo dopo attimo, commento dopo commento, notizia dopo notizia. Un evento compreso in tutta la sua drammaticità con il passare delle ore e con l’incessante cadere della pioggia che senza interruzioni per tre giorni, dal pomeriggio del primo ottobre fino alla notte di giorno 3, ha letteralmente “affogato” Messina sud in un vortice di pietre e fango. Una pioggia pian piano trasformatasi in lacrime: quelle versate dagli abitanti delle comunità di Giampilieri, Scaletta, Briga, Altolia, Molino sui corpi di familiari, amici e parenti uccisi dal fango assassino (e in alcuni casi non ancora restituiti ai propri cari); lacrime su un presente scivolato via veloce come la terra venuta già dalla parete della collina, lacrime cadute su un futuro che continua ad essere torbido come l’acqua che è tornata a scorrere “regolare” nel letto di quel torrente che in tanti però ancora guardano con sospetto e timore. Perché la natura, lo hanno imparato a proprie spese i concittadini vissuti 100 anni fa, lo abbiamo ben capito noi oggi ad un secolo di distanza, non perdona, non avvisa, non si controlla: si ribella senza dare preavviso e non restituisce ciò che toglie e strappa via con violenza.
Superfluo dunque dire che il 2009 sarà ricordato a Messina come l’anno dell’alluvione: l’alluvione che ha provocato oltre trenta morti senza distinguere adulti o bambini, uomini o donne; l’alluvione che ha fatto ben rendere conto alla città dello Stretto e a noi tutti, il posto che occupiamo in quello scacchiere a forma di Stivale: perché la tragedia di Messina dall’impietoso tacco di questo Stivale è stata calpestata non una, non due, non tre, non quattro, ma ben 37 volte, il numero esatto delle vittime del nubifragio. E mentre a Giampilieri il fango sparso per le strade costituisce ancora la traccia “viva” del dramma vissuto, quasi fosse sangue che fuoriesce da un ferita che fatica a rimarginarsi, per il resto dell’Italia quella terra sembra essere stata magicamente soffiata via dal maestrale o ancora meglio dallo scirocco che “riscalda” e a volte soffoca il cielo sopra lo Stretto. Il nero di quel fango è stato ormai sostituito da nuovi colori, il verde, il giallo, il viola, il rosso, tonalità che evocano l’immagine dell’arcobaleno, ma che con il “celestiale” fenomeno hanno ben poco a che fare; essi piuttosto delineano i nuovi confini dei villaggi, quelli che, secondo la cartografia redatta dagli esperti dell’ufficio commissariale di Raffaele Lombardo, dovrebbero dividere le zone a rischio da quelle sicure. Loro però, gli abitanti delle comunità, a fidarsi di quelle carte proprio non ci stanno, preferiscono piuttosto ascoltare il loro sesto senso, così come hanno ascoltato i borbottii della montagna nei mesi che hanno preceduto la tragedia del primo ottobre e nei due anni trascorsi dal primo “avvertimento”, nel 2007, quando sempre a Giampilieri franò una prima ma fortunatamente ridotta porzione di collina.
Ciascun messinese ha ben impressa nella propria mente un’immagine di quelle drammatiche sequenze, “assimilata” attraverso le riprese delle tv locali e nazionali girate dagli elicotteri della Protezione Civile che per giorni hanno sorvolato la zona facendo da spola tra il campo di calcetto di Santa Margherita adibito ad eliporto e le zone raggiungibili solo per via aerea; o ancora attraverso scatti fotografici da far rimanere senza parole. Per chi subito è stato catapultato tra le strade invase dal fango, il 2009, sarà per sempre quello dell’odore della terra bagnata dove si è scavato a mani nude in una disperata corsa contro il tempo, o quello dell’acqua che scivolava sugli impermeabili e sulle divise fluorescenti nel buio delle notte, unico “scudo” contro la violenza della natura; o ancora l’immagine delle calosce intrise di fango fin sulle ginocchia. E poi ancora c’è chi la tragedia di Messina l’ha vissuta e raccontata attraverso gli sguardi sempre più incupiti di quanti, dall’uno ottobre e nei giorni successivi, hanno seguito le operazioni di soccorso dall’Unità di Crisi della Prefettura, “aiutati” dalle centinaia di commenti pubblicati per tutta la notte sulle pagine di questo quotidiano on-line e che spesso sono giunti proprio dai dintorni di Messina sud, permettendoci così di segnalare e raccontare in diretta, “minuto per minuto”, il dramma di chi per ore si è trovato intrappolato in macchina, per strada, in casa.
Abusivismo edilizio, dissesto idrogeologico, fondi stanziati per la messa in sicurezza del territorio mai giunti a destinazione; ricostruzione, new town modello L’Aquila, polemiche, battibecchi politici, nuovi schieramenti pro e contro il Ponte sullo Stretto; messaggi di solidarietà, testimonianze di famiglie distrutte, sfollati ancora alloggiati nelle strutture alberghiere della città, ospitati da amici o in case in affitto; finanziamenti annuciati ed emendamenti bocciati. Una carrellata di parole che cerca infine di sintetizzare gli ultimi tre mesi vissuti da Messina e dai messinesi; una pioggia di promesse, nella maggior parte dei casi rivelatesi solo tali, che in compenso hanno sortito come unico effetto il disorientamento e la confusione tra chi, a distanza di oltre 90 giorni dal dramma, non riesce certo a guardare con speranza al 2010.
Eppure ci siamo, mancano ormai poche ore al momento dell’ultimo saluto da rivolgere a questo anno così complicato. C’è chi lo farà rivolgendo un addio, chi un arrivederci: sarà un addio per coloro che questo 2009 vorrebbero “cancellarlo” o addirittura non averlo mai vissuto; sarà un arrivederci per quanti invece il 2009 non vogliono dimenticarlo, perché dimenticare significherebbe staccarsi per sempre da quelle vallate che molti non hanno invece la forza di abbandonare. E c’è poi ancora una terza “categoria”, quella di chi non vede l’ora di salutare il 2009 spinto forse dall’illusione di poter così alleggerire la propria coscienza appesantita da una lunga trafila di errori, inefficienze, superficialità, imprecisioni, inesattezze che sommate, l’una con l’altra, sono state la causa di un’altro lungo elenco a cui però non possono essere apposti correttivi: quello composto da 37 nomi e 37 cognomi che certo non vanno “imprigionati” aldilà di una sottile soglia temporale e che di sicuro non dovranno essere “confinati” in un remoto angolo della memoria collettiva.
Ecco perché pur sorridendo con voi all’alba di un “nuovo giorno”, non dimentichiamo di volgere un ultimo intenso pensiero a quello che ci siamo lasciati alle spalle, perché quello che c’è dietro di noi è il primo tassello da cui ripartire per ricostruire un futuro. Dimenticare il 2009 significherebbe dimenticare i volti di 37 persone che all’alba di questo 2010 non potranno sorridere.
Elena De Pasquale
(foto Dino Sturiale)