L’idea della Lipari al tempo di Roma era quella di un’isola senza un molo d’attracco. Ad accogliere l’intenso traffico di merce c’erano – nell’immaginario degli storici – dolci spiagge estese, favorevoli agli sbarchi. Una ricostruzione totalmente smantellata dalle clamorose scoperte compiute casualmente, qualche anno fa, in occasione della costruzione del porto. Un nuovo punto di vista da cui guardare alle meraviglie di Lipari, da cui scaturisce il progetto “Archeolie 2013”.
Un workshop di archeologia, tecnica e scienze subacquee che mira ad acquisire maggiore consapevolezza dell’area e delle sue potenzialità per poter compiere “passi avanti nei settori di ricerca, tutela e valorizzazione del territorio così come stabilito da una delibera della giunta regionale” – queste le parole di Sebastiano Tusa, soprintendente del mare della Regione Siciliana e specializzato in archeologia orientale che ha presenziato alla conferenza di presentazione del progetto svoltasi stamane nei locali della Capitaneria di Porto.
Sono intervenuti all’evento, tra gli altri, il comandante della Capitaneria di Porto, Antonino Samiani, il direttore del Dipartimento di Scienze Biologiche e Ambientali, Emilio De Domenico e il soprintendente ai beni culturali e ambientali di Messina, Salvatore Scuto.
E’ stata una benna – uno di quegli imponenti organi di caricamento e scarico di materiali, usati proprio per gli scavi – che ha letteralmente portato alla luce una realtà diversa da quella che per anni si era data per scontata – ha spiegato lo stesso Tusa. Lo strumento, introdotto nell’insenatura dell’isola in maniera peraltro non autorizzata, ha permesso di venire a conoscenza di resti probabilmente datati intorno al III – II sec. a.C.: due basi e blocchi di marmo a basamento di alcune colonne – ha proseguito il professore.
Una struttura piuttosto complessa che – come hanno dimostrato i successivi lavori di rinvenimento – è costituita da un intero colonnato (circa tredici pilastri dalla base quadrangolare e dal diametro medio di oltre un metro, di cui tre distrutti dall’incauta benna) disposto a semicerchio cui si aggiungono anche un portico e un edificio di culto. Un vero e proprio molo che si chiude in direzione nord in cui i pilastri, raggruppati fittamente, furono quasi certamente elevati a mo di frangiflutti per contrastare l’inarrestabile avanzata dell’elemento, insieme a un muro di gettata edificato innanzi alla testata del molo stesso.
Si tratta di un forziere inestimabile che ha già partorito dal suo ventre ceramiche incise e frammenti di anfore con anse bifide che confermerebbero la datazione ipotizzata, e, ancora, contenitori a volta con orlo decorato, e ceramiche a vernice nera. Il tutto fortunatamente sigillato da una provvidenziale copertura di argilla dello spessore di circa due metri che ha consentito il perdurare di un ottimale stato di conservazione, impedendo che il sito si trasformasse in una “discarica portuale”.
Un sito dalle inestimabili potenzialità, suscettibile di aprirsi anche ad orizzonti didattici per i quali Tusa ha auspicato una sinergia avanzata tra la Soprintendenza stessa e l’Università, sulla base di esperienze cooperative già svoltesi in Italia e che hanno incrementato esponenzialmente lo spettro di conoscenze.
Sulla tabella di marcia prevista per la settimana dall’8 al 16 settembre vi sono corsi di acquisizione del brevetto subacqueo, sia di primo che di secondo livello ma anche lezioni teoriche sulle tecniche di base di archeologia subacquea e addirittura programmi di insegnamento bifase, teorici quanto pratici, per l’acquisizione delle corrette metodologie e tecniche di scavo subacqueo.
“Stiamo coinvolgendo grandi professionalità perché il progetto vada in porto nel migliore dei modi” – ha poi aggiunto il docente Roberto La Rocca che si è invece soffermato sugli aspetti logistici e organizzativi del programma di lavoro. Tra gli enti coinvolti – come lo stesso La Rocca ha voluto precisare – un nucleo della Guardia Costiera di Messina, lo staff della Scuola Archeologica Subacquea di Sassari, nonché varie aziende resesi disponibili per la fornitura delle necessarie attrezzature.
Un organizzazione che permetterà di delegare alle competenti professionalità le fasi più rischiose del progetto, consentendo la realizzazione delle attività per i più inesperti in assoluta sicurezza, senza privarli dell’esperienza di visitare personalmente i fondali dell’isola unendosi, a operazioni ultimate, anche alle attività di pulitura e restauro dei resti rinvenuti, che verranno trattati in un apposito laboratorio di Lipari.
La vera difficoltà di realizzazione sarà quella di coordinare con precisione le immersioni previste con il transito di aliscafi e altri mezzi di trasporto, particolarmente attivi nella zona. “La scoperta dev’essere un’occasione di crescita sociale per il porto di Lipari che non può essere imbalsamato a causa della scoperta stessa – ha infatti chiarito Tusa – occorre stabilire un equilibrio tra le contrapposte esigenze e il progetto ha anche questo scopo, oltre a quello di sopperire alla mancanza di fondi richiesti ma non ancora stanziati dall’assessorato”.
A chiudere l’incontro, l’intervento del soprintendente Scuto che ha significativamente fatto cenno alla consuetudine, tutta messinese, di procrastinare e rimandare le attività di costruzione e accrescimento del territorio. “Sedici anni per realizzare mezzo svincolo autostradale. Trentadue per veder sorgere il Palacultura. Undici per la Cittadella Fortificata. Ventiquattro che aspettiamo un museo per i reperti marini. Adesso bisogna svegliarsi!”. (Sara Faraci)