Il ministro francese Robert Shuman nella sua dichiarazione del 9 maggio 1950 a Parigi proponeva l’integrazione delle industrie del carbone e dell’acciaio di Francia e Germania come primo atto nella graduale realizzazione del progetto di un’unione federativa fra gli stati europei. Un salto nel buio per molti osservatori e uomini politici del tempo, una scelta coraggiosa e un’adesione convinta ad una visione strategica, per molti altri, scelta che segnò la nascita della nuova Europa.
Analogamente, anche se ovviamente su scala diversa, si può dire che l’istituzione di un’autorità portuale di sistema nello stretto costituisce una pietra miliare nella realizzazione del progetto di integrazione economica e sociale di quest’area. La realizzazione di un nuovo spazio europeo, in cui potranno prendere forma progetti comuni nel campo della mobilità, logistica, ricerca e innovazione, infrastrutture, sviluppo economico.
Ora, un altro passo decisivo in questo processo di integrazione è stato compiuto. Si è insediata ieri nel Consiglio Regionale della Calabria la Conferenza Permanente Interregionale per il Coordinamento delle Politiche nell’Area dello Stretto. Una sorta di “parlamento” di quella che i geografi definiscono la “Regione dello Stretto”; un’istituzione che, a mia memoria, non ha precedenti nella storia dell’Italia repubblicana. La Conferenza prevede, infatti, la partecipazione del Presidente del Consiglio Regionale della Calabria, del Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, dei consiglieri regionali eletti nei collegi delle Città metropolitane di Messina e Reggio Calabria, dei Sindaci delle due Città metropolitane, delle Autorità di Gestione dei fondi POR della Regione Sicilia e della Regione Calabria.
Alla conferenza interregionale è affidato il compito di elaborare proposte di legge e accordi di programma da sottoporre alla discussione e approvazione del Consiglio Regionale della Calabria e dell’Assemblea Regionale Siciliana; proposte finalizzate all’integrazione dei servizi e delle attività ritenute strategiche per lo sviluppo economico e sociale dell’area dello stretto. Tutto ciò coerentemente con quanto stabilito nell’articolo 117 della nostra Costituzione dove si prevede che le singole regioni possono ratificare intese al fine di migliorare l’esercizio delle proprie funzioni, anche con l’individuazione di organi comuni.
La classe politica non ha più alibi. Superate dunque le obiezioni di coloro che hanno sostenuto in questi anni che la diversa natura degli statuti regionali costituiva impedimento verso i necessari ed inevitabili processi di integrazione delle due aree, il nuovo spazio europeo necessita ora di essere riempito di contenuti attraverso proposte concrete e condivise.
Michele Limosani