Che le dimissioni fossero un’arma si era capito ormai da settimane. Poi il balletto che in 24 ore lo stesso De Luca aveva messo in piedi, prima annunciando di ritirare le dimissioni di sindaco e di lasciare l’Ars, poi decidendo di non lasciare più l’Ars e di restare contemporaneamente sindaco e deputato, ha di fatto solo confermato che quel doppio incarico fosse un’arma da tirar fuori di fronte ai no che potevano arrivare dal consiglio, piuttosto che da chiunque altro De Luca avrebbe incontrato sulla strada della sua azione politica (VEDI QUI).
E ad ammetterlo candidamente è stato proprio Cateno De Luca ieri sera, durante le oltre tre ore di comizio a Piazza Duomo. Non ha usato le parole “arma” o “ricatto”, ma “tattica” e strategia”. Perché mantenere il ruolo di deputato gli avrebbe consentito di poter dire “o come dico o mi dimetto e andiamo al dissesto” e mantenere il paracadute dell’Ars che lo rendeva più forte. Così ha spiegato alla piazza perché non si era ancora dimesso da deputato. Era la sua tattica.
«Ormai sono nelle mani del consiglio comunale perché mi sono tolto la rete. Stavo perdendo di credibilità? Accontentati tutti, subito. Mi tolgo questa protezione e affronto a mani nude il percorso. E se ora a qualcuno in consiglio comunale viene il mal di pancia perché è stato stretto da qualche ambiente e non vota più il Salva Messina?». Ecco quindi l’arma delle dimissioni. O meglio, per dirla con le sue parole, la tattica. Non solo nei confronti del consiglio comunale, ma anche dei creditori, ha detto a chiara voce alla piazza.
«Nelle prossime settimane dovrò incontrare i creditori del Comune e dovrò chiedere loro di abbattere una parte dei crediti che rivendicano. Gli dirò chiaramente che o rinunciano o mi costringeranno a dichiarare il dissesto e i soldi li vedranno con il binocolo. Quindi non era meglio che in questa fase io avessi ancora la veste di deputato? Nella trattativa avrei avuto quella scappatoia, vi dichiaro il dissesto, me ne vado e a voi creditori che siete insensibili vi dico vaffanculo». E invece la scappatoia non ci sarà più perché ieri sera stesso De Luca ha annunciato di nuovo, e dovrebbe essere l’ultima volta, che lascerà l’Ars.
La colpa è di chi non lo ha capito, di chi lo ha contestato sulla illegittimità del doppio incarico e sull’opportunità politica di continuare così, soprattutto i giornalisti che «non comprendono certe finezze» e che per giorni gli hanno «macinato i maroni con questa storia» sempre per usare le parole del sindaco.
«Ho indugiato perché avevo la necessità di poter esercitare una necessaria azione di persuasione nei confronti del consiglio comunale ove non ho nessun consigliere eletto a causa di un sistema elettorale balordo che va al più presto corretto» ha detto ancora il sindaco, dimenticando però che in campagna elettorale fu il più grande sostenitore del voto disgiunto che lo ha incoronato sindaco senza neanche un consigliere.
La data che aveva scelto per le sue dimissioni dall’Ars era il 23 novembre, giorno entro cui Messina può rimodulare il Piano di riequilibrio. Perché è vero che ha sempre dichiarato che non sarà il sindaco del dissesto, ma è anche vero che lasciare la questione aperta gli avrebbe consentito di mantenere almeno il ruolo di deputato se fosse andata male come sindaco.
Adesso inizierà un periodo caldissimo con tutti gli atti e le delibere necessarie per mettere in atto le manovre del Salva Messina. Il sindaco sa che non potrà essere tutto in discesa come è stato finora: «C’è il rischio che su determinate questioni, come per esempio il tram e l’Atm, le posizioni ideologiche portino a un corto circuito. Ora non ho più la rete, ma non mi spavento a tirare un colpo di penna e ce ne andiamo tutti a casa».Perché comunque De Luca ha deciso che farà solo il sindaco, ma non è detto che resterà a farlo a prescindere da tutto.
Francesca Stornante