Si è conclusa al Monte di Pietà l'esposizione inaugurata lo scorso 3 agosto dalla Città Metropolitana di Messina
Si è conclusa il 28 agosto la ricca collettiva pittorica dalla suggestiva intitolazione – “Affinità elettive” – in esposizione nello splendido sito monumentale del Monte di Pietà (nelle due salette interne). La mostra, nelle intenzioni della Città Metropolitana di Messina, ha chiuso in bellezza un percorso artistico che negli ultimi anni ha portato in luce soprattutto talenti di giovani emergenti, locali e non, attraverso eventi sempre molto partecipati.
E così, questa nutrita equipe di talentuosi affermati pittori messinesi – ove le radici costituiscono l’humus comune – dalle originarie esperienze cittadine ha per lo più spaziato anche oltre i confini messinesi e isolani, purtroppo sovente troppo angusti, e si è per fortuna ritrovata in questa esperienza che per ciascuno degli artisti – si intuisce – è in primis etica. E pur se ognuno ha naturalmente perseguito un personale iter, con proprio stile e linguaggio, è ben riuscito l’intento di comporre una tela di collettiva complicità, esprimendo il loro rispettivo quasi-reale, con libera curiosità, ancora e sempre. Personalmente ammiro molto Piero Serboli e mi commuove la pittura di Nino Cannistraci, e cercherò di seguito di esprimerne le motivazioni; per ragioni diversamente articolate sono stata comunque attratta anche dalle opere degli altri artisti. Le tele utopiche di Cannistraci si sono dipanate a mezzo di perenni tentativi di superare il conflitto fra eterogenei opposti, vuoti e pieni, yin e yang, energie sempre in contrasto, mentre la costruzione stessa dell’estetizzante spazio è stata raggiunta attraverso sfondi sfuggenti e sovente paradigmatici. Per Serboli, che si è spostato con soavità dall’incanto poetico all’intelligente disincanto con occhio attento al fruitore e osservatore, con il quale ha stabilito un’interessante relazione, è fondamentale la suddivisione dello spazio nella sua tela – mondo in una parte cosiddetta alta, aerea, densa di colpi di luce e in una cosiddetta bassa, terrena, tutta ombra e tenebre, che ospita l’inconfessabile. Se i due sopra cennati esponenti di un’arte pittorica più eterea e come raggrumata mi hanno per così dire avviluppata, non va sottaciuto che anche ciascuno degli altri ha rapito il mio sguardo. I colori del tempo perduto e della diuturna ricerca di Togo; gli inquieti segni della pittura interiore di Bruno Samperi; la luminosa quotidianità del reportage della Messina di Nino Rigano, che sembra emersa dalle smemoranti acque dello Stretto, novella “Insula in flumine nata”; il costruttivismo lirico cui pare essere approdato Alvaro, attraversando e superando il giovanile espressionismo figurativo e il milanese astrattismo geometrico; le libere fantasticherie di Alfredo Santoro, il sognatore, ove campeggia quale pensiero dominante il colore blu; e infine, certo, last but not least davvero, Pietro Mantilla, nella sua febbrile classicheggiante pennellatura di penelopi e vergini solitarie e smarrite, in un delirio di non amore, in un suo tempo sempre più rappresentato al ralenti.
Il catalogo, con la bella presentazione di Patrizia Danzè, è andato ad arricchire ancor più la mostra, offrendo un punto di vista fortemente esperienziale e corretto, mirante ad approntare un ausilio per la completa comprensione delle opere già in esposizione: di ogni artista la Danzè ha poi singolarmente riportato note individuali e le immagini di cinque dipinti reputati giustamente esemplari. E noi, che abbiamo goduto con la vertigine che il gioco-lavoro della buona pittura sempre concede, di penetrare cioè un po’ lo spazio-tempo degli otto colleghi e amici messinesi, grati portiamo con noi l’essenza del loro straniante realismo.
Tosi Siragusa