Si potrebbe definire una primavera barcellonese nell’autunno incombente, quella che si sta vivendo nella città del Longano con le iniziative promosse dal collettivo Flock. Loro si autodefiniscono “un collettivo di ragazzi che, accomunati dall’interesse per l’arte in tutte le sue forme, si interessa di dare spazio a giovani artisti”. E, in effetti, per i tre giorni dell’evento da loro promosso, “Pozzo dei Goti in arte”, le forme sono state le vere protagoniste, riempiendo gli spazi abbandonati di quella porzione antica della città di Barcellona che è, per l’appunto, Pozzo di Gotto. “Pozzo dei Goti in arte” è stato non solo un evento dalle multiformi espressioni visive, ma soprattutto un’occasione per riportare lo sguardo su un territorio da troppo tempo dimenticato e vittima di un appannaggio culturale esclusivamente folkloristico, che vuole Barcellona Pozzo di Gotto supinamente relegata ai carretti e ai tamburelli.
Mostre di dipinti (tra i quali le opere di Francesco Raciti, Riccardo D’Avola e Alessio Barchitta, quest’ultimo ideatore della stessa iniziativa), esposizioni fotografiche e di abiti (Oriana Rinaldi), installazioni video (Emanuele Torre e Federico Boncaldo), reading e performance musicali, sono alcune delle tante attività che si sono svolte in quei tre giorni, per una manifestazione che ha portato con sé il respiro continentale delle kermesse milanesi, contestualizzandolo ai luoghi dell’adolescenza, in cui questi ragazzi (in prevalenza barcellonesi) sono cresciuti e ai quali hanno voluto restituire un po’ di bellezza, prendendo la retorica con cui si è soliti parlare del Sud, e accartocciandola tra le pieghe di tanti origami.
Così, dopo il successo delle tre serate di “Pozzo dei Goti in arte”, il Flock ritorna sul territorio, su invito della Genius Loci, con una installazione, in Contrada Cavaliere, presso la sede dell’ex fornace: “Transizione di fase”.
L’opera, attraverso i suoi elementi geometrici e strutturali, intende essere ricordo e testimonianza dei mutamenti storico-funzionali che hanno coinvolto il luogo in cui essa s’inserisce. La forma piramidale è un duplice richiamo: si trasforma da tipica costruzione di età neolitica a fornace d’argilla, a sviluppo verticale. Dal terreno, due scale simmetriche ricoperte da coppi toccano la sommità, come un nastro che trasporta i laterizi all’interno dello spazio di cottura. E’ l’eco più recente, quella che risuona oggi tra le pareti dello stabile e che, a due passi dal brusìo cittadino, mantiene ancora la sacralità e la cura del lavoro d’artigiano. Infine, un nastro bianco avvolge e protegge la struttura, diventando un bozzolo di seta grezza che custodisce, con il suo pregiato filamento proteico, il miracolo della metamorfosi.
Un ponte di transito tra il passato e un futuro in evoluzione.
Giuseppina Borghese