Arroccato su una rupe a 480 m s.l.m. nell’entroterra ionico, ad una decina di km dalla costa, il borgo medievale di Gerace domina la Locride e costituisce una cerniera storica e paesaggistica tra il mare, l’antistante Riviera dei Gelsomini, e la montagna, le pendici nord-orientali dell’Aspromonte.
Porta del Parco Nazionale dell’Aspromonte (https://www.facebook.com/guideufficialiparcoaspromonte ) sulla Magna Grecia e Bandiera Arancione del Touring Club, Gerace – con le sue strette viuzze, le piazzette inaspettate, i palazzi nobiliari, i resti del castello, le antiche porte urbiche – ci condurrà indietro nel tempo, regalandoci paesaggi superbi sul mare e sulla montagna.
Ma prima di addentrarci per le vie del borgo, un po’ di storia…
Fondato tra il VI-VII sec. d.C. dai profughi della vicina Locri greco-romana, in fuga da una costa divenuta poco sicura, il centro fu denominato Gerace forse dal nome greco dello sparviero, “Jerax”, il cui volo, secondo una leggenda, fu seguito dai Locresi sino alla rupe, dalle impervie pareti rocciose, ove oggi la cittadina è arroccata e nel cui stemma comunale si trova rappresentato proprio il leggendario rapace.
Nell’VIII-IX sec. d.C. sono documentati per il sito l’appellativo di castrum ed il nome di S. Ciriaca e, secondo alcuni studiosi, Kyriake divenne Jerakie e quindi Gerace, fornendo quindi un’altra ipotesi per l’origine del nome del borgo.
Ricca e potente per tutta l’epoca medievale, perché sede di Diocesi (solo di recente trasferita a Locri), è nota anche come “la città delle cento chiese”, per l’elevato numero di edifici religiosi presenti, una ventina delle quali ancora oggi fruibili, tra cui spiccano la maestosa Cattedrale normanna dell’XI sec. d.C., edificata su una precedente chiesetta bizantina, e la chiesa di San Francesco, col suo splendido altare in tarsie marmoree, esempio eccellente di barocco meridionale.
Gerace visse il suo periodo di maggior splendore con la conquista normanna del 1059. La città, centro religioso di rilievo, con la continuità della lingua e del rito greco fino al 1480, fu allora definita “dives opum Geratia” e proprio a questo periodo risalgono alcune tra le costruzioni più importanti, tra cui la Cattedrale.
Quindi, che ne dite? Facciamo insieme due passi a Gerace?
Disposta su tre plateau degradanti, il miglior modo per visitarla è dal basso verso l’alto, in una lenta e meravigliata ascesa che dalla Cittadella ci condurrà al Castello.
Provenendo da Locri, si giunge infatti dapprima nel Borgo (o Cittadella), dove sorgeva l’antica Porta della Varvara, oggi scomparsa. Ci troviamo in un quartiere parzialmente fondato sulla roccia – forse avanzo di antiche fortificazioni – e qui si trovano le botteghe degli “argagnari” (i maestri vasai) scavate nel tufo. Una tradizione, quella della ceramica, che vanta antiche origini e per la quale Gerace è molto rinomata. Qui si può ammirare la Chiesa di S. Maria del Mastro, edificio a pianta centrale a croce greca d’ispirazione bizantina, anche se risalente al periodo normanno (1084), la cui facciata è stata rimaneggiata nel ‘600.
Per dirigersi verso la parte alta (il Borghetto), si varca un’antica porta, nel piazzale di Santa Maria Egiziaca, e si segue una via con lastroni carrerecci, tra case dai bei portali, fino alla panoramica delle Bombarde, un tempo postazione di difesa del borgo, oggi splendida passeggiata con vista mozzafiato sulla costa ionica.
Qui si trova l’ex convento delle Agostiniane, con annessa la chiesa di S. Anna. Alla sua destra, la nostra via prosegue varcando la Porta del Sole, dalle forme barocche, che ci conduce nella piazza del Tocco – antico e moderno cuore politico della città – al centro della quale potrete ammirare lo stemma comunale di Gerace.
Proseguendo il nostro walking tour, ci dirigeremo verso la triangolare piazza Tribona, dove il nostro sguardo si rivolgerà verso l’alto per ammirare l’imponenza della Cattedrale dell’Assunta.
Gerace ospitava più di ottanta tra chiese, monasteri e conventi, di cui ogni restano una ventina circa, ma l’edificio sacro più prestigioso e monumentale è certamente la Cattedrale, su cui si addossa il barocco Arco dei Vescovi, sul quale ogni vescovo al suo primo ingresso trovava affisso il suo stemma, sormontato dalla meridiana (ancora oggi estremamente precisa!). Ciò che noi ammiriamo dalla piazza, non è però la facciata della Cattedrale, come ci potremmo aspettare, ma il suo apparato absidale! La Cattedrale è infatti orientata, secondo il rito greco, con le absidi ad oriente e l’ingresso ad occidente, per raggiungere il quale bisogna costeggiare il fianco settentrionale dell’edificio, dopo aver attraversato l’Arco dei Vescovi. Giungiamo quindi nella piccola corte ove prospetta la severa facciata romanica, con maestoso portale ad archi concentrici e semplice monofora al posto del classico rosone.
Il grandioso edificio costituisce la chiesa più estesa della Calabria e, secondo la tradizione, fu consacrata la prima volta nel 1045 ed una seconda volta nel 1222, alla presenza, si vuole, di Federico II di Svevia.
La Cattedrale, la cui coerenza stilista è stata compromessa nei secoli da adattamenti e parziali riedificazione in seguito ai numerosi terremoti, presenta internamente uno sviluppo basilicale (75 × 25 m), con tre navate scandite da due file di 10 colonne. Resteremo meravigliati nell’ammirare le colonne ed i capitelli di spoglio, provenienti verosimilmente da edifici di età romana della vicina Locri.
L’altare basilicale, consacrato dal Vescovo Bregantini e dal metropolita Ortodosso Mons. Spiridione il 9 luglio 1995, in occasione del 950° anniversario della prima consacrazione della Cattedrale, è il primo altare, dopo la separazione delle due Chiese avvenuta nel 1054, ad essere consacrato da due Vescovi di riti diversi. È dedicato all’unità della Chiesa, come rivelano le due scritte, in greco e latino “ι̉να ωσιν ε̉ν – Ut unum sint”.
La Cattedrale poggia in parte sulla roccia, in parte sulla cosiddetta cripta, bizantina (un impianto basiliano non più tardo dell’VIII sec. d.C.), nucleo originario del complesso. Dal braccio sinistro del transetto, scendiamo in questo vasto ambiente a croce greca, ornato con altre colonne di spoglio di epoca romana tardo-imperiale, che sorreggono volte a vela del IX-X sec. Nella cripta si apre la cinquecentesca Cappella della Madonna dell’Itria (da “Odigitria”, cioè “colei che indica la via”), con volta a botte, decorazioni in marmi policromi del 1600, pavimenti in maiolica ed un cancello in ferro battuto tutto “ricamato” senza alcuna saldatura, anch’esso di fine ‘600. Sull’altare si trova una pregevole statua marmorea della Vergine col Bambino del XIV sec., di scuola pisana.
Visitata la Cattedrale, attraverso via Cavour, ci dirigiamo verso il Largo delle tre Chiese, in cui la costruzione più imponente è quella della Chiesa di S. Francesco, connessa al convento dei Minori, di cui restano i ruderi del chiostro danneggiati dal terremoto del 1783, dove è ubicata la Porta del Parco dell’Aspromonte. La chiesa, eretta nel 1252, conserva nel fianco un elegante portale ogivale di gusto arabo-normanno. L’interno, a navata unica, conserva l’altare maggiore in tarsie marmoree policrome, opera di Frà Bonaventura Perna da Gerace, che lo realizzò nel 1664. Muovendoci dietro l’altare, scopriremo il trecentesco sarcofago marmoreo di Nicolò Ruffo di Calabria.
Accanto alla chiesa di S. Francesco si trova la chiesetta di S. Giovannello (cioè S. Giovanni Crisòstomo), raro esempio di architettura bizantino-normanna di X-XI sec. d.C., affidata al patriarcato ecumenico di Costantinopoli e, dal 1997, elevata a Santuario Ortodosso Panitalico. Sulla stessa piazza si apre anche la chiesa del Sacro Cuore di Gesù, barocca, di cui ci colpisce l’inusuale cupola “a trullo”.
Siamo al termine della nostra passeggiata e ci aspetta l’ultimo breve tratto in salita, accompagnati, alla nostra destra, da una vista mozzafiato sulla vallata della fiumara Novito. Raggiungiamo così i ruderi del castello, in posizione dominante sulla rupe, di cui si conservano oggi un torrione cilindrico e tratti della cortina muraria. La rocca del castello è inaccessibile ed il collegamento, originariamente, avveniva mediante un ponte levatoio che si calava sul baglio, il rifugio della popolazione in caso di pericolo. L’edificio, ricordato più volte nelle fonti, esisteva già in epoca bizantina, ma fu ricostruito dai Normanni e subì nel tempo parecchi rimaneggiamenti, fino alla distruzione causata dal terribile terremoto del 1783.
Da allora, i resti del castello rimangono come quinta scenografica, stagliata sulle cime dell’Aspromonte e sulle ampie vallate che circondano la rupe, dove il nostro sguardo emozionato ora si posa, spaziando fino al mare che si confonde col cielo…