Stavo leggendo gli esiti del referendum consultivo di Veneto e Lombardia quando su facebook mi è capitato di dare un’occhiata ad un post di una mia amica imprenditrice.
Gira il mondo per lavoro da anni, ha deciso di investire sull’azienda di famiglia, nonostante tutto, nonostante la Sicilia. Nel post ha pubblicato la foto del biglietto aereo Palermo-Milano, andata e ritorno alla cifra di 396 euro (manco a dirlo class economy non oso pensare la business). Da Milano, con quella cifra, attraversi l’Oceano. Voi direte ma che c’entra il referendum sull’autonomia di due Regioni del nord con i costi aerei della Sicilia? C’entra eccome, soprattutto alla vigilia di Natale quando migliaia di figli siciliani torneranno a casa per abbracciare le famiglie e quei pochi giorni di malinconia e baci costeranno un occhio della testa. Tempostretto due mesi fa ha pubblicato la lettera di un messinese che ha provato a prenotare a settembre il rientro per le feste di fine anno. Al di là delle cifre scandalose non riusciva neanche a trovare un posto nei giorni ritenuti “caldi”. Rientrerà se non ricordo male il 9 gennaio ed ha optato per la nave.
I veneti e i lombardi chiedono quella maggiore autonomia economica e fiscale che noi abbiamo per Statuto ma non abbiamo mai usato. Lo Statuto speciale è come Lazzaro, resuscita alla vigilia delle elezioni per tornare nella tomba appena le urne si chiudono.
Nell’era Crocetta l’unica cosa che è stata rispolverata dello Statuto è stata la meno influente, ovvero i Liberi Consorzi dei comuni al posto delle ex Province.
L’autonomia fiscale che Lombardia e Veneto chiedono noi ce l’abbiamo dal maggio del ’46, lo Statuto è persino antecedente alla Costituzione mentre le basi di quella continuità territoriale che in Sardegna è applicata da anni noi le abbiamo in quella Carta che ignoriamo. Trattiamo lo Statuto come un vecchietto che parla e nessuno lo ascolta più. Lo lasciamo nella sedia a dondolo a ricordare i vecchi tempi.
Veneti e Lombardi chiedono di incassare quote rilevanti delle tasse versate dalle imprese delle due Regioni. Chiedono maggiore autonomia impositiva, che equivale a maggiore ricchezza per la Regione ed a stipendi più congrui per i residenti.
Ebbene, gli articoli 36, 37 e 38 dello Statuto riguardano tutto questo. L’art.36 ad esempio prevede che al “fabbisogno della Regione si provvede con i redditi patrimoniali della Regione e a mezzo dei tributi deliberati dalla Regione”. La Sicilia per ipotesi potrebbe applicare meno tasse e consentire così stipendi più consistenti. Per non parlare della questione accise che da 20 anni viene sbandierata come Babbo Natale ma ho smesso di crederci persino prima che al vecchietto con la barba e le renne. Art.37: le imprese industriali e commerciali che hanno sede centrale fuori dalla Regione ma che in Sicilia hanno stabilimenti e impianti viene determinata la quota di imposta che compete alla Regione. L’art. 38 infine fissa un contributo di solidarietà nazionale per le opere pubbliche. A proposito di tutela della continuità territoriale l’art. 22 attribuisce alla Regione il diritto di partecipare con un suo rappresentante nominato dal governo regionale alla formazione delle tariffe ferroviarie e alla istituzione e regolamentazione dei servizi nazionali di comunicazione e trasporti terrestri, marittimi e aerei che interessano la Sicilia (in pratica le basi di una reale continuità territoriale).
In sostanza, potremmo pagare meno tasse, resterebbero in Sicilia i tributi maturati nell’isola, per non parlare delle possibilità di legiferare su una serie di settori, ridurre dazi sulle importazioni dei macchinari per l’agricoltura. Di più, il presidente della Regione può partecipare con il rango di ministro alle riunioni del Consiglio dei Ministri qualora gli argomenti affrontati riguardino la Sicilia. In base all’art. 22 anche le tariffe non potrebbero essere fissate senza il nostro parere. Avevamo anche un Commissario dello Stato ed oggi non c’è più.
Quello che Veneto e Lombardia chiedono oggi noi ce l’abbiamo da 71 anni. Siamo seduti sulla nostra ricchezza ma ce ne infischiamo.
Noi non abbiamo bisogno di alcun referendum. In Sardegna la continuità territoriale con tariffe per i residenti è realtà e quando l’Unione Europea prova ad alzare la bandierina dello stop è la Regione stessa a difendere il territorio. Per la Sicilia la continuità territoriale viene fatta valere solo per Lampedusa, Pantelleria. Perché noi siamo carne da macello. Lo siamo sempre stata. Certo, ci sono le compagnie law cost e negli anni scorsi abbiamo avuto storie di clamorosi proclami e altrettanto clamorosi fallimenti. Ma la continuità territoriale non è affidata al privato di turno, è in mano allo Stato. Lo stesso che attraverso le ferrovie, dovrebbe agevolarci. Invece taglia treni notte in continuazione, rende un’impresa titanica al viaggiatore utilizzare i treni da Villa per Roma e ritorno. Lo Stato fa apparire le corse Bluferries ogni volta come una graziosa elargizione piuttosto che un diritto.
E’ lo Stato che ha ridotto allo stremo, con il prelievo forzoso, le nostre ex Province (intascando i proventi del bollo auto nell’isola). Infine, non mi stancherò di ripeterlo, c’è quell’accordo scellerato firmato nel 2015 tra Regione e governo nazionale che per un piatto di lenticchie ci fa rinunciare alle somme per tutti i contenziosi che potremo vincere (compresi anche quelli che stiamo vincendo).
E quando con un tratto di penna hanno cancellato i soldi per il Ponte, sono stati dirottati al nord lasciandoci con un palmo di naso per quelle che erano le cosiddette opere compensative e che a noi servono come il pane.
Ma tanto mentre scrivo Lazzaro sta già per rientrare nella tomba dove resterà per i prossimi 5 anni.
Rosaria Brancato