MESSINA – “Beckett on Tourette”. Per la fortunata rassegna teatrale ”Il miglior tempo della nostra vita“, a suggellare i 40 anni della storica compagnia teatrale Nutrimenti Terrestri, la pièce in trattazione ha costituito ultimo appuntamento, al teatro Annibale Maria di Francia, ove Lucilla Mininno e Giovanni La Fauci sono stati interpreti con innegabile maestria, avvalendosi della partecipazione di Francesco Zecca, sullo script della Mininno – con ausilio di La Fauci- che ha altresì curato la regia.
Siamo in uno studio televisivo, per la registrazione della trasmissione “Cosa è successo a un certo punto” con la intraprendente presentatrice rimasta sola dopo che i collaboratori hanno dato forfait, e sempre più in ambasce durante il collegamento con l’inviato, tale Tizio E., che non sta visibilmente bene sotto il profilo psicologico, ossessionato come è dalla persistente insonnia e dal suo stesso nome, mentre il misterioso “Vicino”, in ombra, tenta di prendere parte alla diretta.
Questo il quadro di insieme, ove si innesta un’intervista impossibile intorno agli anni ‘80 con ospite il simulacro di Beckett, le cui difficoltà abbattono definitivamente la conduttrice.
Si vorrebbe sciogliere un nodo -apparentemente e forse realmente- insondabile—- cosa è successo nel mondo artistico dagli anni ’80 a seguire.
Trattasi di una proiezione Vrab Pictures, in collaborazione con Nutrimenti Terrestri, che indaga su questi nostri tempi tourettianamente frammentari, incerti e dilaniati, divisi fra chiasso e silenzio riempito inopinatamente, mentre lo smarrimento e la solitudine sono incombenti, non riuscendo più a trovare un porto sicuro nei rituali artistici, che hanno perso di significato.
I led, accanto alle luci fosforescenti degli anni 80, creano già una sorta di cortocircuito, ove la narrazione diviene impossibile e il tragicomico, espresso dalla poetica Beckettiana è imperante, nel non sense, nelle continue interruzioni, nei fuori campo inappropriati, con audio e video che danno il senso della perdita di senso, dello spaesamento e smembramento, che è sì del racconto, ma anche un segno dei tempi, connotati dall’incapacità di restare in silenzio, far delle pause, ritrovare la civiltà dell’esistenza e delle creazioni artistiche intimamente correlate. E, dunque, Beckett non può che essere beckettiano,,,non avremmo potuto aspettarci altro dal suo fantasma, che, in risposta a quel teatrino sul nulla… non può che opporre il silenzio.
Le musiche, atte a ricostruire l’ambientazione e lo snodo della storia, si sono attestate a G. La Fauci e Danilo Orbitello, con le canzoni anni 80 ben note e orecchiabili.
La scenografia si è avvalsa, oltrechè della abilità tecnica di La Fauci, degli apporti di Simone Di Blasi, Claudio La Rosa e Orbitello, mettendo il focus su diversi elementi scenici atti alla rappresentazione delle tre diverse stanze, rispettivamente della ragione, del cuore e del sogno, che nell’intenzione degli ideatori della trasmissione dovrebbero costituire ambiti giusti a ricreare l’atmosfera.
I costumi davvero appropriati sono riferibili alla sartoria “Santi Macchia”; le riuscite coreografie a Gaia Gemelli.
La semi-varietà tragicomica– insomma, di scena, per far riflettere e stimolare opportuni cambiamenti. E non stupisce affatto il finale, ove un cartello sintetizza gli esiti, che non sono stati esattamente quelli programmati—quando le parole non possono restituire il senso, che non esiste …la parola può darsi solo alla musica.