MESSINA – Graditissimo ritorno, domenica al Palacultura, quello di Ila Kim, ospite, come altre volte, della Filarmonica Laudamo, questa volta purtroppo senza il marito, il maestro e musicologo Piero Rattalino, scomparso il 6 aprile di quest’anno. La Kim ha proseguito da sola, con coraggio e determinazione, il percorso tracciato insieme al marito, raccontare cioè la musica dei grandi compositori, attraverso l’illustrazione, in una chiave senz’altro originale, di alcuni brani poi eseguiti al pianoforte.
È stata la volta di Beethoven, con una performance intitolata “Beethoven: Dal quotidiano al trascendente”, ove la pianista coreana, sostituendo Rattalino nella narrazione, ha raccontato i sentimenti che hanno ispirato il grande compositore tedesco nella creazione di alcuni suoi capolavori pianistici.
Ila Kim ha iniziato a raccontare le origini fiamminghe di Beethoven, da parte del nonno paterno, e lo ha paragonato ad un celebre pittore fiammingo, Brueghel il Vecchio, autore sia di dipinti ironici e irriverenti, come i “Proverbi fiamminghi” sia di altri terribilmente seri, come il famoso “Trionfo della morte”. Anche Beethoven aveva in sé entrambe le caratteristiche, ed il lato ironico è stato espresso tramite l’esecuzione dello “Scherzo” dal “Settimino” Op. 20, in una trascrizione di Franz Liszt.
Emozionante l’illustrazione della Sonata n. 8 in Do Minore, op. 13 “Patetica”, una delle sonate più celebri di Ludwig Van Beethoven, con la quale il compositore ha manifestato l’angoscia per la consapevolezza della incipiente sordità, attraverso il dramma del primo movimento, (Beethoven meditò perfino il suicidio), la calma serafica del secondo, come momento di riflessione, e la potenza affermativa dell’ultimo movimento, la volontà titanica di andare avanti comunque. L’appellativo Patetica è dello stesso Beethoven, ma il significato del termine non corrisponde a quello odierno, che assume quasi una connotazione negativa, ma deriva letteralmente da pathos, cioè sentimento, passione. Capolavoro emblematico dello Sturm und Drang, la sua impetuosa drammaticità si manifesta immediatamente nel Grave iniziale, un tema sinistro che rimane impresso nella memoria e che prelude all’inquieto allegro del primo movimento; il celeberrimo adagio, è uno dei brani di più elevata nobiltà d’animo regalatoci da Beethoven, fra quelli che rimangono impressi per sempre nella memoria, e rappresenta il momento culminante della Patetica, vero archetipo del romanticismo musicale tedesco; il rondò finale, per quanto ben costruito e di carattere anch’esso drammatico, non raggiunge però le vette toccate dai primi due movimenti.
La Sonata però ha anche una grandissima importanza per la pianista, che la eseguì in un concorso ad Imola, ove fra i commissari vi era anche il suo futuro marito, che si innamorò prima dell’artista e poi della donna.
La Sonata in fa minore n.23 op.57, edita alle stampe nel 1807 col titolo “Appassionata”, trattata dopo la Patetica, è frutto delle vicende amorose del grande musicista con le sorelle Therese e Josephine Brunsvik, famiglia presso la quale si trovava ospite nel 1806; Beethoven, innamorato di Josephine, probabilmente non fu mai ricambiato. La Sonata, dedicata appunto al fratello delle due giovani, Franz, rappresenta la trasfigurazione in musica delle turbolente passioni dell’anima, resa mirabilmente attraverso un esteso primo movimento, intriso di temi nobili alternati a cupi e tempestosi momenti sonori, accordi violenti, misteriose note ribattute, arpeggi carichi di tensione. Il secondo movimento, un breve momento di distensione, ove già si palesa la straordinaria arte della variazione che troverà il suo massimo compimento, al pianoforte, nelle ultime due sonate e nelle Variazioni su un valzer di Diabelli, precede la furia del terzo movimento, turbinoso fino all’estremo, un susseguirsi di rapide quartine, sulle quali si innesta uno splendido tema “appassionato”, per concludersi con un “Presto” avviato da una serie di accordi ribattuti di inaudita violenza. La pianista ha inteso quest’ultimo movimento come un uomo in fuga, che non riesce a sfuggire ai suoi inseguitori e trova quindi la morte.
Ed ecco una delle ultime sonate di Beethoven, la Sonata in la bemolle maggiore op. 110 sommo capolavoro dell’ultimo periodo compositivo del musicista tedesco. Si tratta della penultima delle 32 sonate di Beethoven, e rappresenta un po’ la seconda semplicità di Beethoven, che ormai domina alla perfezione la forma, e può permettersi di lasciarsi andare, in particolare nel primo movimento, ad una leggiadra e meravigliosa melodia “Moderato cantabile, molto espressivo”, un canto limpido e purissimo, senza grandi contrasti. Dopo un “Allegro molto”, uno Scherzo dal carattere impetuoso e brillante, ecco il misterioso recitativo “Adagio, ma non troppo”, che culmina in una ripetizione di una nota (la) per quindici volte, che introduce un canto triste e rassegnato – “Arioso dolente” – una delle melodie più intense e sofferte create da Beethoven, che ci fa sprofondare nell’abisso dell’animo, per poi risorgere però nella straordinaria Fuga finale “Allegro ma non troppo”, ove la forza della ragione trionfa sull’oscurità delle passioni, anche se per un momento, commovente e di eccezionale suggestione e intensità, il lamento dell’Arioso ricompare, per cedere infine il passo al sicuro incedere in contrappunto della fuga.
In questa Sonata, secondo Ila Kim, Beethoven raggiunge la sua redenzione, si identifica nel Cristo, da qui il titolo “Dal quotidiano al trascendente”.
Assolutamente coinvolgente l’esecuzione della pianista coreana, applauditissima, molto personale nell’interpretazione direi emotiva, ma anche rigorosa nella tecnica eccellente, dimostrata in particolare nell’esecuzione dell’Appassionata, ove ha ricevuto autentiche ovazioni da parte del numeroso pubblico. Ila Kim ha suscitato anche una notevole empatia nella sua narrazione, non nascondendo il suo dolore per la scomparsa di Rattalino, ma senza compiacimento, molto dignitosamente, con quella voglia di andare avanti nel suo percorso artistico, e nessun modello potrebbe essere più adatto di Beethoven.
Un ultimo brano pubblicato postumo, il “Rondo all’Ingharese, quasi un Capriccio” in sol maggiore intitolato “La collera per un soldino perduto”, brano frenetico e di difficile esecuzione, ha concluso questa indimenticabile performance della pianista coreana, che ci auguriamo ammirare ancora nella nostra sala concertistica.