Vertenza Triscele, i sindacati replicano alla lettera dei Faranda

L’incontro di domani in Prefettura si preannuncia incandescente. A far salire ancor di più i toni di una protesta che ormai va avanti da quasi una settimana la lettera scritta proprio in vista del vertice e che porta in calce la firma del direttore amministrativo del gruppo Triscele Francesco Faranda. Lettera che è stata recapitata alla Prefettura e ai sindacati e dalla quale si evince chiaramente che le soluzioni si allontanano sempre più. Vertenza Triscele, nuovo episodio. Non mancano i colpi di scena in questa vertenza che tiene banco da settimane e che sta mettendo duramente alla prova i 41 ex lavoratori della Triscele che dal 31 dicembre potrebbero rimanere non solo disoccupati ma anche senza alcun sussidio. In quella data scadrà la cassa integrazione in deroga, questa è l’unica certezza che ormai hanno. Nella missiva il gruppo Faranda chiarisce la sua posizione e assicura che domani sarà presente all’incontro, a differenza di quanto accaduto lo scorso 15 novembre. Ma se già la tensione era alta, questo documento non ha fatto altro che inasprire gli animi tra i lavoratori che sono ancora in presidio davanti i cancelli degli ex stabilimenti in via Bonino e che domani si sposteranno davanti il Palazzo del Governo messinese per attendere l’esito della riunione. Difficilmente però potrà cambiare qualcosa. La posizione del gruppo Faranda appare chiare e irremovibile. Per i sindacati questa lettera non è altro che l’esplicitazione di quanto l’azienda aveva già dichiarato telefonicamente alla Prefettura. Ci sono però dei passaggi che preoccupano fortemente i lavoratori e che evidenziano, secondo i rappresentanti sindacali, che davvero la strategia dei Faranda è cambiata in corso d’opera e che di fatto hanno tradito le aspettative dei dipendenti che aspettavano il famoso piano industriale. Giovanni Mastroeni, segretario della Flai Cgil, mette la lente d’ingrandimento su questo passaggio: “Non è, come da sempre coerentemente affermato dall’azienda, il cambio di destinazione d’uso come tale, per quanto passaggio essenziale, l’elemento in grado di determinare il reperimento dei mezzi finanziari. Mezzi finanziari che, per di più depurati dalla quota necessaria a sanare la posizione debitoria della società, permettano di capire, quindi, quali risorse poter infine destinare allo studio e alla stesura del piano industriale. Sono cioè, appunto, concretamente le richiamate risorse finanziarie a permettere di raffigurare un realistico piano industriale e non il contrario”. E’ questo stralcio ad aver attirato in particolar modo l’attenzione perché in pratica conferma che l’azienda ha fatto non uno ma ben due passi indietro, spiega Mastroeni. “Eravamo certi che una volta ottenuto il cambio di destinazione d’uso dell’area sarebbe arrivato il piano industriale. Oggi ci dicono che non solo non ci sarà nessun piano se non prima saranno venduti i terreni, ma leggendo bene ci rendiamo conto che una volta ottenuti i soldi dalla vendita prima il gruppo penserà a sanare i debiti e solo dopo, se sarà rimasto qualcosa, si proverà a capire quali risorse destinare allo studio e alla stesura del piano industriale. Non pensino però che così scaricano tutto e tutti. Il faccia a faccia di domani sarà decisivo”. (Francesca Stornante)