Società

Bullismo e cyberbullismo, “la responsabilità è collettiva. La comunità non stia a guardare”

MESSINA – Insulti, spinte, sberleffi, sgambetti, pedinamenti, “spiate”. Ostracismo, diffamazione, isolamento. Minacce, violenza privata, percosse. Atti persecutori. Diffamazione. È tutto questo e molto altro il bullismo (e non è da meno il cyberbullismo). Anzi è così tante cose che talvolta lo si stenta a identificare. Gli allarmi ci sono, i segnali si possono leggere, ma «ogni situazione fa storia a sé», come ricorda Mario Venuto, commissario capo della Polizia, dirigente dell’ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico della Questura di Messina

E a proposito di storie, Venuto ne racconta una messinese «emblematica perché dimostra che il lieto fine è possibile se si fanno i passi giusti».

Una storia messinese

L’inizio della storia è “classico”: un innamoramento non ricambiato. Lo sviluppo è altrettanto immaginabile: la delusione amorosa si trasforma in rabbia e porta a vere e proprie “persecuzioni”.

Anche la location è “tradizionale”: le aule e i corridoi scolastici, e, per estensione, i luoghi di incontro al di fuori della scuola tra compagni e compagne. I protagonisti? Sono teenager, ovvero la fascia di età più coinvolta nel fenomeno.

Fin qui, insomma, tutto “già sentito”, per dir così. Sennonché qualcosa di particolare c’è. In questo caso il “bullo” è una ragazzina e la vittima un ragazzino. Il che sfata un bel po’ di miti e – soprattutto – dà la misura di quanto la realtà sia slegata da ogni pregiudizio.

Il primo caso di ammonimento

Singolare è anche la conclusione della storia. Si tratta infatti del primo “ammonimento” emesso dal Questore della provincia di Messina, Annino Gargano, da quando, nel 2023, una legge ha riformato le regole di contrasto ai fenomeni di bullismo e cyberbullismo e ha consentito di applicare alcune misure anche ai minorenni, purché over 14 anni.

«L’ammonimento ha avuto successo. E le condotte scorrette sono terminate». Non per caso. «Gli adulti di riferimento non hanno sottovalutato il problema, come spesso accade. Sono intervenuti come consentito dalla normativa. Non c’è stata una querela, dunque non c’è stato un procedimento penale, ma c’è stata una segnalazione, una richiesta e ci sono state le attività istruttorie per verificare i fatti, si è aperto un procedimento amministrativo e sono stati confermati i presupposti per “ammonire” la giovane responsabile della condotte persecutorie».

Il che significa che la ragazza è stata convocata in Questura le è stato spiegato non solo cosa prevedano le leggi in vigore, ma soprattutto quali siano e quali possano essere le conseguenze sulla vittima. «È importante che l’autore delle condotte lesive sia messo di fronte alle proprie responsabilità, che capisca fino in fondo quali e quanti danni provochi con il suo comportamento e prenda consapevolezza della sua gravità».

“Io lo sapevo e non ho fatto nulla”

Secondo Mario Venuto quello che più va superato – nelle circostanze che poi confluiscono in bullismo o anche cyberbullismo – è quel coro di “Io lo sapevo” che spesso emerge solo quando le condotte sono ormai sotto i riflettori della Forze dell’ordine. È un coro di adulti e anche di minorenni. Ed è «il primo ostacolo, culturale, da sconfiggere».

A sfuggire infatti sono grosse quote di fenomeno. Una parte viene, talvolta impropriamente sottovalutata ritenendo che si tratti di “cose tra ragazzi”. Altra parte si risolve già all’interno della famiglia o a scuola, «istituzioni che devono concorrere nel contrasto al fenomeno, che essendo di natura complessa necessita di una risposta articolata su più livelli».

Ma il bullismo, anche virtuale, esiste e «le denunce potrebbero e dovrebbero essere di più». Se non denunce vere e proprie – che, pure, in alcuni casi, configurando ipotesi di reato, andrebbero fatte e basta – almeno che si facciano le segnalazioni. «Le leggi danno molte possibilità di intervento. Ma se nessuno dà informazioni, magari con la convinzione che si tratti di “ragazzate”, sottovalutando la gravità, le istituzioni non possono intervenire».

Facciamo per capirci: anche il procedimento amministrativo (che, al termine dell’istruttoria curata dalla Divisione Anticrimine della Questura, si può concludere con l’ammonimento del Questore) non si attiva “d’ufficio”. È necessaria una istanza da parte del genitore.

Segnalazioni anche anonime

Però ci sono anche altre opzioni. L’App YouPol (scaricabile gratuitamente da Apple Store, per i sistemi operativi IOS, e da Play Store, per i sistemi operativi Android) è aperta a tutti i cittadini e raccoglie segnalazioni su qualsiasi tipo di reato. Ma è stata pensata soprattutto per gli adolescenti. «La persona che fa la segnalazione può rimanere anonima, ma è indispensabile che dia un minimo di indicazioni precise (per esempio, di che scuola si tratta). Perché solo così possiamo indagare».

E naturalmente si può denunciare. Dalla denuncia su fatti di reato parte l’attività istruttoria di natura penale, c’è una prima informativa sulla quale la Procura farà le proprie valutazioni e deciderà se aprire o meno un fascicolo.

«Oggi c’è una particolare attenzione da parte delle Forze dell’ordine. È lo stesso tipo di attenzione, e di tempestività dell’intervento, che viene riservata alle molestie, ai casi altrettanto gravi e deprecabili di violenza sulle donne. In entrambi i casi, d’altronde, si tratta di reati di natura relazionale e la prima, più importante risposta è quella di natura sociale».

E cioè «il controllo deve essere diffuso. L’intera comunità deve costantemente vigilare e segnalare eventuali relazioni patologiche per consentire l’immediato intervento delle Forze dell’ordine. Gli strumenti per intervenire ci sono. E sono efficaci. Ma non si possono applicare se a monte “si fa finta di non vedere”. Lo dico da padre – sottolinea Mario Venuto – oltre che da poliziotto».

Poliziotto e padre

Padre vigile sulla crescita di una bimba di 6 anni che giusto quest’anno entra per la prima volta nelle aule scolastiche. Ma anche poliziotto impegnato da sempre ad accogliere bambini e ragazzi nelle caserme, a fare attività di sensibilizzazione e di responsabilizzazione nelle scuole. «L’incontro è fondamentale. Guardarsi negli occhi non è la stessa cosa che scriversi in una chat. E ne abbiamo quotidianamente le riprove».

Proprio da incontri di questo tipo è derivata la fiducia che in un precedente incarico ha portato un docente a segnalare al Commissario, “a riflettori spenti”, un terribile sospetto. Da lì indagini, prove, processo. Era un caso bruttissimo di pedofilia e il colpevole è stato condannato.

«È importante parlare direttamente con gli studenti ma anche con gli insegnanti e con i genitori. Il virtuale non può sostituire il contatto umano. Soprattutto quando si sta parlando di timori seri che riguardano, in un modo o nell’altro, dei minori che rappresentano il futuro della nostra società».