Stop ai vitalizi per i politici condannati, quando la Sicilia può dare lezioni all’Italia

Siamo talmente abituati ad essere considerati la Sicilia degli sprechi, dei privilegi della politica, del cattivo esempio quanto a gestione, che quando invece ci capita di essere da buono esempio e da pionieri quasi non ce ne accorgiamo, oppure, timidamente, non lo facciamo notare.

E’ il caso dell’abolizione dei vitalizi per gli onorevoli condannati. La norma “all’acqua di rose” varata da Camera e Senato nei giorni scorsi è sbandierata come la migliore, ma nessuno dice che la Sicilia l’ha fatta prima e di gran lunga più efficace e concreta.

“Passiamo sempre per i politici peggiori- commenta il presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone (nella foto in basso) che al momento del varo della norma nell’isola invitò subito ad estenderla sul territorio nazionale- Invece ci sono deputati di serie A e di serie B e noi siamo considerati quelli di serie B. Abbiamo dato esempio di come sia possibile basarsi sulla legge e cambiare le cose, ma evidentemente nessuno ci ha voluto seguire”.

Le differenze tra la norma siciliana e quella romana non sono affatto dettagli di poco conto, tutt’altro, semplicemente il nostro è un esempio buono sì, ma proprio per questo da evitare come la peste perché rischiano di “incappare” in troppi e di restare senza il vitalizio, nonostante le condanne.

La differenza sta tutta nella norma di riferimento, perché, in Sicilia viene fatto riferimento, ovviamente, al codice penale ed all’art. 28 in base al quale chi viene condannato all’interdizione dei pubblici uffici perde il diritto a qualsiasi assegno erogato dallo Stato (compreso quindi il vitalizio). E lo perde definitivamente, senza possibilità di “riabilitazione”. Camera e Senato invece, hanno preferito un “aggancio” più morbido, che lascia molti più spiragli e cioè la legge Severino che invece indica sia una serie di reati che soprattutto la soglia dei due anni di condanna in primo grado per quel che riguarda l’incandidabilità. Con questo riferimento normativo infatti restano fuori tutta una serie di reati (e di condanne anche inferiori ai due anni) che invece sono “tipici” per così dire, dei politici, come il peculato, il finanziamento pubblico ai partiti, l’abuso d’ufficio. La revoca del vitalizio inoltre non è né automatica né definitiva ma solo “sospesa” e in caso di riabilitazione viene ripristinato.

E’ stato il M5S in Sicilia a scatenare la bufera dei vitalizi ai condannati, con riferimento all’ex presidente della Regione Totò Cuffaro, (condannato a 7 anni di carcere per concorso in associazione mafiosa) che continuava a percepire un vitalizio di oltre 4 mila euro al mese. Ardizzone decise di chiedere un parere all’Avvocatura di Stato in merito appunto alla possibile applicazione dell’art. 28 del codice penale che in caso di condanna all’interdizione dai pubblici uffici prevede anche la perdita di assegni da parte dello Stato. La risposta è stata sì. In verità l’art. 28 esclude le pensioni ma, come chiarito dall’Avvocatura, il vitalizio, poiché non collegato ad un lavoro, non può essere equiparato alla pensione. Da un anno quindi Cuffaro non percepisce più il vitalizio da ex deputato della Regione. Adesso perderà anche quello del Parlamento in qualità di ex senatore. Quando Ardizzone decise di rivolgersi all’Avvocatura e di intervenire con norma lo fece perché, neanche a dirlo, all’Ars il caso di Cuffaro non è isolato. Ma certo non si sarebbe aspettato che un anno dopo il Parlamento, sempre su sollecitazione del M5S e poi su pressing dei presidenti di Camera e Senato “sorvolasse” bellamente sull’unico buon esempio in Italia, quello appunto della Sicilia.

L’interdizione dai pubblici uffici è prevista per uno spettro più ampio di reati, è automatica, è prevista anche per condanne inferiori ai due anni e non è revocabile con la riabilitazione. L’applicazione dell’art. 28 del codice penale voluta dall’Ars è pertanto più che corretta, tenendo anche in considerazione il fatto che stiamo parlando di rappresentanti politici che commettono reati proprio in virtù del loro ruolo e che pertanto garantire un “vitalizio” (che in realtà dura oltre la vita del singolo destinatario) sembrerebbe in questi casi un paradosso se non una beffa. Non la pensa così il Parlamento che ha preferito affievolire i paletti e collegare la norma alla legge Severino. Peccato, anche perché nessuno si è ricordato della Sicilia in questo caso (visto che non fa comodo), tranne Sergio Rizzo sul Corriere della Sera. E peccato anche perché visto che il dibattito dura da tempo, si sarebbe potuto fare meno in fretta, fare meno compromessi, e prendere esempio anche da quei “siciliani spreconi e incapaci” che ogni tanto ne azzeccano una. Ma forse, copiandoci, in troppi sarebbero rimasti senza l’assegno…..

Rosaria Brancato