Alla fine, come sempre in questa città, ha vinto il partito della distruzione, il partito del cemento. Coloro che alzano alto il vessillo dell’inarrestabile progresso come scusa riparatrice all’atto demolitore verso i Molini Gazzi, dovrebbero iniziare a fare un giro per le regioni italiane da sud a nord, e perché no, anche in Europa. Essi vedrebbero con i loro occhi che il progresso di cui narrano esiste solo a Messina. La prassi infatti che si è affermata, non è demolire gli ex edifici industriali che hanno una certa importanza storica, ma recuperarli e valorizzare così al meglio i valori identitari espressi in questi moderni monumenti. Affermare che mantenere tali edifici industriali in area urbana è un’assurdità dal punto di vista urbanistico, ed è poco redditizio, è affermare una sciocchezza. È vero il contrario. Infatti tali aree, ad esempio nella Capitale, sono quasi tutte recuperate o in procinto di esserlo, e destinate a funzioni direzionali e/o socio-culturali con sviluppo di economie sostenibili. Oppure destinate alla ricettività turistica, come a Venezia, dove il Mulino Stucky sul canale della Giudecca è stato trasformato in hotel. Possiamo citare altri esempi: la città di Biella in Piemonte con gli ex lanifici di fine Ottocento recuperati (2 enormi complessi industriali recuperati, uno sede della Fondazione Pistoletto, e l’altro che sta per essere ultimato diventerà la sede generale di Banca Sella); Parma con l’intervento di Renzo Piano sull’ex zuccherificio Eridania trasformato nello splendido Auditorium Niccolò Paganini; Milano con numerosi esempi tra cui la Bicocca e la Fabbrica del Vapore; Catania restando in Sicilia, con le Ciminiere accanto la stazione centrale, e ZO- Officine dello Zolfo. Potremmo continuare con un elenco infinito, citando anche esempi di archeologia industriale divenuta patrimonio UNESCO.
Qualche giorno fa è stata inaugurata l’opera d’arte la “Fenice rinasce più gloriosa”, un auspicio e un augurio per la città che sa di beffa, visto che se continueremo a distruggere la nostra storia, certo non potremo rinascere proprio, ma continueremo a morire perché non sapremo più chi siamo.
Ma ormai è un fatto. Tutto legittimo, per carità, si tratta di scelte. Ma questa scelta influirà sulla collettività. A perdere sarà tutta la città, perdendo la memoria di una storia economica e sociale importante. Perdendo dei valori storici e culturali unici che non potremo più trasmettere alle prossime generazioni. Perdendo un monumento industriale che avrebbe potuto rappresentare un punto di attrazione per il turismo culturale, così come avviene nel resto del mondo.
Certo, da messinese fa male essere chiamato a intervenire dal Comune di Castellavazzo sul recupero di uno dei cementifici che permisero di costruire la diga del Vajont, e invece essere costretto a dover assistere nella mia città alla demolizione dei Molini Gazzi. Ma questa è la differenza tra una classe dirigente che guarda al futuro, e una classe dirigente ancorata al passato, che non sa indicare un modello di sviluppo adeguato ai nostri tempi.
Mi auguro soltanto che si provveda invece a salvare l’altro monumento industriale, che si trova proprio accanto ai molini, l’ex Triscele – Birra Messina. Lo stabilimento inserito nella Carta dell’Identità e della Memoria della Regione Siciliana come Luogo Storico del gusto – Luogo della produzione gastronomica non più in uso, deve indubbiamente essere sottoposto a procedimento di vincolo, e la Soprintendenza non può di certo esimersi dall’avviarne la procedura.
Ad ogni modo vorrei rivolgere un appello alle famiglie Pulejo e Faranda, salvate almeno la memoria storica depositata negli archivi aziendali!
Dr. Davide Rizzo
Archeologo industriale e Cultural Planner