“Una vicenda grottesca ed intricata”. Parla dell’Acr Messina l’ex dirigente Giovanni Carabellò, con riferimento a quanto accaduto fino a 15 giorni fa, prima del passaggio di proprietà.
“La nostra città – dice – per tanti aspetti sembra avere una collocazione extra-territoriale rispetto alla restante parte del Paese ma ritengo che, almeno per quel che riguarda le norme di legge applicabili, Como sia esattamente equivalente a Messina. E non a caso cito Como. Infatti la squadra di calcio della città lariana, con sorpresa di tutti, durante il periodo di preparazione precampionato, è stata dichiarata fallita. Un quotidiano di quella città per rendere al meglio lo stupore generato ha titolato "Fallimento in maglione di cachemire". In effetti quella società aveva appena superato lo stress test dell'iscrizione al campionato, i calciatori non vantavano crediti e stavano svolgendo regolarmente la preparazione in una struttura di primo livello. Eppure la mannaia della legge (lex, dura lex sed lex) si stava abbattendo su una società non manifestamente insolvente, anzi, quasi ostentatamente opulenta. Per fortuna i tifosi comaschi, grazie a privilegi spesso accordati al calcio, hanno potuto continuare a coltivare i loro sogni sportivi grazie all'esercizio provvisorio prontamente accordato al club. Esercizio provvisorio che, peraltro, permane ancora oggi visto che già due gare per la cessione del titolo e del ramo d'azienda sono andate deserte”.
A Messina, invece, – prosegue Carabellò – “nonostante lo scempio continuo cui abbiamo dovuto assistere negli ultimi mesi, che pure ha trovato ampio spazio sui media locali e nazionale, né Procura della Repubblica, né Tribunale Fallimentare hanno ritenuto di dover muovere un dito. Eppure da quanto hanno di continuo resocontato gli organi di informazione lo stato di insolvenza e di decozione del club cittadino deve ritenersi conclamato, la situazione debitoria non riesce a venire definita perché ingentissima in rapporto al giro d'affari generato, non si pagano le commissioni per fidejussioni da prestare in ossequio alla normativa federale e, da ultimo, non sono più stati corrisposti gli stipendi ai tesserati. In più si è parlato di una circolazione smodata di contanti, di crediti di dubbia certezza anticipati da una piccola banca cittadina, di crediti iva acquisiti da altri e fatti confluire nel proprio F24 senza specificare se trattavasi di operazioni a titolo oneroso o di atti di liberalità come si è voluto sostenere di un corposo finanziamento (necessario per completare l'importo della garanzia richiesta per l'iscrizione al campionato 2015/2016) da parte della madre di un calciatore oggi non più in organico. Per non parlare della scabrosa vicenda del settore giovanile. Una situazione che ha visto profilarsi all'orizzonte calabresi, palermitani, Massone e ragusani ma che stranamente non ha attirato l'attenzione di chi è preposto alla stretta osservanza di leggi e regolamenti. Già anche regolamenti perché anche la Figc, tramite la Covisoc, ha potere di controllo sull'andamento gestionale dei club, ed ancora con il potere di deferire e chiedere al tribunale competente l'amministrazione giudiziale”.
L’estate scorsa Carabellò aveva rappresentato un gruppo che aveva manifestato interesse ad acquisire le quote sociali. “La situazione che mi era stata sottoposta – conclude – avrà nel tempo subito opportuni "aggiustamenti" soprattutto in prospettiva visite ispettive ma resta sorprendente dover scoprire che né magistratura, né Guardia di Finanza, né Ufficio del Lavoro, né Comune di Messina (soprattutto per l'uso improprio delle strutture messe a disposizione) hanno ritenuto di doversi interessare di questa vicenda. Il nostro calcio per salvarsi ha bisogno di miracoli come quello di Como”.