TINDARI – Come eravamo quando gli emigranti eravamo noi… e la libertà bruciava. Ancora una performance di innegabile valenza etico-civile in quel grandioso palcoscenico del Teatro di pietra tindaritano, che sta ospitando la Rassegna “Tradizioni” al Tindari Festival, messa a punto dal magistrale direttore artistico Tindaro Granata, con il supporto di uno staff di eccellenza, ove la parte del leone sta toccando a Compagnie Siciliane assai qualificate. In questo contesto, il 17 agosto, ecco la rappresentazione “Camicette bianche”, un musical di ottima fattura, a cominciare dallo script, di taglio saggistico, di Ester Rizzo, che ne ha costituito base di partenza per lo sviluppo della narrazione, ad opera di un Marco Savatteri in stato di grazia.
La narrazione di un mondo siciliano, ove emigrare verso Nuova York costituiva scelta di sopravvivenza,di ricerca di pane e libertà,sovente pagando un prezzo altissimo, come per la vicenda indagata, che si innesta con mirabile intuizione nella più generalista tematica, quella delle vittime italiane di genere femminile, le operaie che trovarono una atroce morte nell’incendio della fabbrica di camicette bianche, (quelle della intitolazione), la Triangle Shirtwaist Company, il 25 marzo 1911, tragedia industriale fra la vita di finzione e quella reale, che è una delle ragioni ispiratrici della Giornata Internazionale della donna celebrata l’8 marzo.
Se questa rappresenta la genesi che lo spettacolo indaga, con intento di valore, di restituire un nome a quelle morte, altrimenti destinate a scomparire nuovamente sotto la pesante coltre dell’oblio, il dipanarsi del musical, indubbiamente di segno corale, costruito in guisa di un grande affresco, ove le tinte hanno virato dal bizzarro al fosco,passando per il leggiadro e il goliardico, non ha lesinato di mettere il focus soprattutto su alcune figure realmente esistite, assurte a protagoniste. Come Clotilde Terranova, una grande Chiara Peritore, fra la vita concreta e quella di finzione, partita per ricongiungersi alla sorella Rosa, una garbata Ilaria Conte, che già ne aveva anticipato il percorso, che era sembrato serbare solo promesse meravigliose, non mantenute, con concessione di qualche dollaro tout court, guadagnato lavorando duramente, che però non si trovava neanche il tempo di spendere..certo quella strada irta di ostacoli aveva procacciato libertà…ma di quella che scotta…letteralmente, costringendola infine a lanciarsi dal decimo piano ,per sfuggire allea devastazione.
Alle interpretazioni, tutte ben orchestrate, si è conferito ancor più pregio a mezzo danze, con le belle coreografie di Giovanni Geraci, le musiche, con adattamento felice di M. Savatteri e le canzoni, con direzione vocale-corale di Giulia Mercadante, e orchestrazioni di Enrico M. R.Fallea, riferite agli italo-americani dell’epoca, con sapiente ricerca, e quelle della tradizione e del cantautorato italiano ,non coeve alle vicende in rappresentazione,ma connesse quanto alla tematica dei migranti,soprattutto provenienti dal meridione di Italia,che anche negli anni 60 e 70 ,aveva trovato gran seguito, pur con differenti scelte di elezione dei luoghi di destinazione,meno America e più Belgio, Svizzera…Così, anche brani ultra noti di Modugno e Tenco, ci hanno consentito di respirare ancor più lo scoramento del doversi separare dal proprio piccolo nido, abbandonare affetti, abitudini e cose care, per inseguire un sogno, non di facile realizzazione, comunque condito di rinunce e di un’ alta dose di sofferenza.
Abbiamo spiato quei personaggi, trepidando con loro, sin da quell’interminabile viaggio in mare, ove il più piccolo aveva trovato soccombenza, lungo quel percorso allietato, pur nella tragicità del rischio, dalla speranza, che a tratti faceva risplendere gli sguardi quelle giovani vite, in vista del miraggio, quella “Merica” chimerica che li attraeva comunque, come una sposa da raggiunger, suscitando intense passioni.
La gran parte non conosceva l’inglese (americanizzato), e allora si tentava di introitarne per intanto, lungo il percorso, qualche termine, e taluna che si era maritata per procura, disconosceva financo le fattezze e l’età anagrafica dello sposo, e poi l’arrivo e il passaggio umiliante, con fermo prolungato per controlli e visite mediche alla dogana di Ellis Island…con al seguito solo quelle valigie di cartone.
Dopo un breve intervallo, una cupa seconda parte ci ha immesso nel cuore del dramma, quei lavori rimediati, sovente molto penalizzanti, con la malavita in agguato ad offrire mirabolanti alternative, come per Salvatore Spadaro, già minatore in Sicilia, che lascia la madre, una pregevole Cristina Mazzaccarro, e, dopo saltuarie incombenze, diverrà ”picciotto“ affiliato alla Mano Nera,superbamente reso da Gerlando Chianetta… esistenze che non sono riuscite a svoltare, tanta solitudine, solo a tratti interrotta dalla vicinanza di altri italiani o addirittura paesani o dalla allegria contagiosa della coppia di esercenti italiani, la chiassosa attrice salernitana, Filomena, di nuovo interpretata da Cristina Mazzaccaro, e il bonario marito, Angelo,con un cameo di Dario Veca, della ristorazione a Little Italy,dove si respirava un po’ dei sapori e dei profumi del nostro Paese…ma sul finale, prima dell’incendio ,con il suo esito letale di 39 cadaveri italiani (36 dei quali hanno avuto oggi, grazie all’opera di ricerca di Rizzo e Savatteri, un nome), già non si preannunciava nulla di buono. Cattivi presagi, la caduta dell’ultima speme e il dubbio di aver sbagliato a partire,e poi solo fumo nero, che tutto ha ammantato,tristo sudario su quelle aspettative.
A proposito di Savatteri, la sua valente regia, come la eccelsa drammaturgia, si è mantenuta sempre in bilico, dirigendo senza entrare a gamba tesa in quella narrazione di vite realmente vissute, ma non mettendo la sordina, con estrema grazia e delicatezza, alle sfumature, al sentire di quei personaggi-persone, in verità, con largo spazio all’introspezione.
Ciò ha avuto il pregio di riportare le nostre menti e i nostri cuori, attraverso un parallelismo scomodo ma dovuto,alle dolorose esistenze di tanti migranti di oggi allorchè l’Italia è divenuta meta di forte immigrazione. E non si può scordare quando i nostri avi partivano con i loro poveri resti, alla deriva, ma rammentare e farne memoria per anelare a una solidarietà sociale ben lungi dall’ essere conquistata. Solidarietà che consenta di ovviare alle disuguaglianze inaccettabili fra esseri umani, solo per avventura nati in una terra fortunata o in altra, al contrario assai svantaggiata.
Le luci e gli effetti scenici, utilizzati sapientemente, così come i costumi di Valentina Pollicino, assai ben riprodotti, con i consoni accessori , e gli oggetti di scena, hanno costituito ulteriore punto di forza di una performance pregna di passione, ben strutturata, che non ha ceduto alla tentazione di un facile pietismo, rimanendo salda nella restituzione quasi oggettiva di quelle storie,certo per concessione allo spettacolo,un po’ romanzate,ma con substrato di apprezzabile autenticità,che il pubblico ,numerosissimo e partecipe, ha molto apprezzato tributando lunghi e ripetuti applausi anche a scena aperta a ciascun componente il prezioso cast.