Novità per esecuzioni, lavori banda larga, amministratori e manutenzioni straordinarie.
È stato convertito in legge il d.l. n. 135, in tema di semplificazioni per le imprese e la pubblica amministrazione. Tra le norme di interesse contenute nel provvedimento segnaliamo quelle in tema di procedure esecutive e di banda ultralarga. Con riguardo al primo aspetto, viene riscritto, in particolare, l’art. 560 cod. proc. civ., che, nella sua nuova versione, stabilisce che il debitore e i familiari con lui conviventi non perdano il possesso dell’immobile e delle sue pertinenze sino al decreto di trasferimento. Più in dettaglio, si dispone che il giudice non possa “mai disporre il rilascio dell’immobile pignorato prima della pronuncia” di tale decreto allorché l’immobile di interesse sia “abitato dal debitore e dai suoi familiari”. Ciò, salvo “sia ostacolato il diritto di visita di potenziali acquirenti”, oppure “l’immobile non sia adeguatamente tutelato e mantenuto in uno stato di buona conservazione, per colpa o dolo del debitore e dei membri del suo nucleo familiare” o, ancora, il debitore violi “gli altri obblighi che la legge pone a suo carico”. Modifiche vengono poi previste anche con riguardo alla conversione del pignoramento: il deposito della somma in cancelleria deve essere ora “non inferiore a un sesto” (e non più a un quinto) dell’importo del credito per cui si procede, mentre il limite massimo della possibile rateizzazione passa (da trentasei) a “quarantotto mesi”. Quanto alla banda ultralarga, il provvedimento introduce nel nostro ordinamento la seguente previsione: “I lavori necessari alla realizzazione di infrastrutture interne ed esterne all’edificio predisposte per le reti di comunicazione elettronica a banda ultralarga, volte a portare la rete sino alla sede dell’abbonato, sono equiparati ai lavori di manutenzione straordinaria urgente di cui l’art. 1135 del codice civile. Tale disposizione non si applica agli immobili tutelati ai sensi della parte seconda del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”. Rammentiamo che il secondo comma dell’art. 1135 cod. civ., prevede che l’amministratore non possa “ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea”. Il senso della prevista equiparazione è da ritenersi sia quello di escludere l’ipotesi di una ratifica successiva da parte dell’assemblea in relazione alla realizzazione delle opere in questione. Ciò, in linea con quanto stabilito sul punto dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui vi è solo un dovere di informativa da parte dell’amministratore, allorché ordini lavori straordinari aventi carattere di urgenza (cfr. fra le altre Cass. sent. n. 10144/’96). L’intervento normativo, tuttavia, non sembra, nella sostanza, recare particolari novità in materia: in disparte ogni considerazione circa l’uso dei beni comuni da parte dei singoli condòmini (i quali, nel rispetto dei limiti codicistici, oltreché di un eventuale regolamento di condominio di origine contrattuale che disponga in materia, sono liberi di installare, o far installare, impianti a servizio delle proprie unità immobiliari), è appena il caso di rilevare, infatti, che il diritto di accesso, senza consenso degli interessati, agli edifici privati, per l’installazione di questo tipo di impianti, già era previsto dalla normativa speciale (art. 91, commi 4-bis e 4-ter, d.lgs. n. 259/’03: cfr. Cn feb.’18). Non a caso, alla luce dei problemi che questa situazione può recare agli edifici interessati, la Confedilizia centrale ha invitato le sue Associazioni territoriali ad attivarsi proponendo, all’impresa (o al raggruppamento di imprese) che – per conto dell’operatore di comunicazione – si è aggiudicata l’appalto per cablare il territorio di interesse, un accordo sulle condizioni e le modalità con le quali effettuare i lavori e anche in ordine alla copertura assicurativa da prestare a favore degli iscritti. Sull’argomento, per maggiori informazioni, è possibile rivolgersi all’Associazione territoriale di Confedilizia Messina.
Nuova normativa antincendi
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 5 febbraio 2019, n. 30, il decreto 25 gennaio 2019 del Ministero dell’interno, recante modifiche ed integrazioni all’allegato del decreto 16 maggio 1987, n. 246, concernente norme di sicurezza antincendi per gli edifici di civile abitazione. Tale provvedimento è il frutto di un iter lungo e complesso che ha visto anche la partecipazione di Confedilizia ai lavori del Comitato centrale tecnico scientifico per la prevenzione incendi del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco presso il Ministero dell’interno. Le osservazioni del Coordinamento tecnico di Confedilizia sono state, a differenza di quelle degli altri soggetti partecipanti ai lavori, accolte pressoché nella loro totalità. Nel merito, la nuova normativa riguarda edifici destinati a civile abitazione con altezza antincendi uguale o superiore a 12 metri. Le disposizioni contenute nell’allegato 1 all’anzidetto decreto, che entreranno in vigore il prossimo 6 maggio, si applicano agli edifici di nuova realizzazione, mentre gli edifici esistenti alla data del 6 maggio saranno adeguati alla nuova normativa entro: – il 6 maggio 2021 (due anni dalla data di entrata in vigore del decreto) per le disposizioni riguardanti l’installazione, ove prevista, degli impianti di segnalazione manuale di allarme incendio e dei sistemi di allarme vocale per scopi di emergenza; – il 6 maggio 2020 (un anno dalla data di entrata in vigore del decreto) per le restanti disposizioni. Le disposizioni sui requisiti di sicurezza antincendio delle facciate contenuti nell’art. 2 del decreto in esame, invece, si applicano agli edifici di civile abitazione di nuova realizzazione e a quelli esistenti che siano oggetto di interventi successivi al 6 maggio 2019 comportanti la realizzazione o il rifacimento delle facciate per una superficie superiore al 50% della superficie complessiva delle facciate stesse. Tali disposizioni non si applicano per quegli edifici per i quali, sempre alla data anzidetta, siano stati pianificati, o siano in corso, lavori di realizzazione o di rifacimento delle facciate sulla base di un progetto approvato dal competente Comando dei Vigili del fuoco ai sensi dell’art. 3, d.p.r. n. 151/’11, ovvero che, al 6 maggio, siano già in possesso degli atti abilitativi rilasciati dalle competenti autorità.
CON LO SBLOCCO DEI TRIBUTI LOCALI, A RISCHIO L’AFFITTO A CANONE CALMIERATO Per la prima volta da tre anni a questa parte, nella legge di bilancio non c’è la norma che, “al fine di contenere il livello complessivo della pressione tributaria”, vietava a Regioni ed Enti locali di “deliberare aumenti dei tributi nonché delle addizionali ad essi attribuiti con legge dello Stato”. Lo sblocco degli aumenti disposto dal Governo mette a rischio, fra l’altro, il comparto dei contratti di locazione abitativa cosiddetti “concordati”, vale a dire quelli il cui canone è calmierato dagli accordi fra le organizzazioni dei proprietari e degli inquilini. Si tratta di quella speciale categoria di contratti di locazione nata vent’anni fa sulla base di un patto molto chiaro: canoni al di sotto di quelli di mercato in cambio di agevolazioni fiscali per i proprietari. Dopo la manovra Monti del 2011, la tassazione locale su questi immobili si è addirittura quadruplicata, con l’Imu e poi con la Tasi. E l’appetibilità degli affitti a canone calmierato si è molto affievolita, tanto che si è tentato di limitare il danno riducendo l’aliquota della cedolare (ma l’aliquota ridotta scadrà alla fine del 2019, mentre andrebbe stabilizzata perché sia ancora incentivante). Ora, il rischio è che i Comuni sfruttino la possibilità loro concessa dalla manovra aumentando le aliquote proprio per questi immobili, visto che sono fra i pochi con livelli di Imu e Tasi ancora inferiori al massimo (in alcune città la tassazione potrebbe crescere di oltre il 150%). Con l’effetto di spingere i proprietari a scegliere i contratti a canone libero. Forse è il caso di ripensarci. Così, su Facebook, il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa.