LOCAZIONE
Danni da immobile locato. Danni da immobile locato: chi ne risponde? Al proprietario dell’immobile locato sono riconducibili in via esclusiva i danni arrecati a terzi dalle strutture murarie e dagli impianti in esse conglobati, di cui conserva la custodia anche dopo la locazione, mentre grava esclusivamente sul conduttore la responsabilità per i danni provocati a terzi dagli accessori delle altre parti dell’immobile, che sono acquisiti alla sua disponibilità. Tanto premesso è escluso che rispetto allo stesso fatto possono concorrere le responsabilità del proprietario e del conduttore (cfr. in punto l’esemplare Cassazione civile sez. III, 27/03/2018, n.7526).
Rilascio e fori nel muro . Il conduttore deve risarcire i fori nel muro per appendere mobili o tende? Al rilascio dell’immobile al termine della locazione rientrano nel normale degrado conseguenti all’uso i fori da tasselli effettuati dall’inquilino per appendere o assicurare mobili alle pareti pensili e manufatti di sostegno dei tendaggi. Ne consegue che il locatore non ha diritto ad alcun risarcimento né rimessione in pristino.
Canone non percepito e reddito imponibile. Il canone non percepito fa reddito? I canoni da locazione immobiliare, anche se non effettivamente percepiti, concorrono ai fini della determinazione del reddito imponibile, indipendentemente dalla causa della mancata riscossione, fatti salvi i correttivi espressamente previsti dall’art. 26 t.u.i.r. per i casi di sfratto per morosità del conduttore. Infatti, il reddito fondiario è per sua natura collegato dalla titolarità del diritto reale a prescindere dalla percezione del provento (cfr. in argomento anche Cassazione civile sez. trib., 09.05.2019, n. 12332).
Tapparella avvolgibile rotta. Tapparella avvolgibile rotta: chi paga? La sostituzione di una tapparella avvolgibile non rientra, di regola, tra le spese di piccola riparazione che ai sensi dell’art. 1609 del Codice civile sono a carico del conduttore, giacché nel processo di deterioramento di detta parte dell’impianto di chiusura (al contrario di quanto si verifica per altre parti, come per esempio la cinghia) normalmente hanno rilievo preponderante non l’uso, bensì altri fattori, ed in particolare gli agenti atmosferici e la qualità del materiale (fattispecie oggetto anche di una sentenza della Pretura di Milano 20.10.1990 in “Archivio locazioni, condominio e immobiliare” 1991, pag. 639)
CONDOMINIO Modifica assembleare destinazione parti comuni L’assemblea può modificare la destinazione delle parti comuni? L’art. 1117-ter del Codice civile espressamente stabilisce, al primo comma, che “per soddisfare esigenze di interesse condominiale”, l’assemblea, con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell’edificio, possa “modificare la destinazione d’uso delle parti comuni”. Dunque, per modificare le destinazioni d’uso, il legislatore ha fissato un quorum deliberativo specifico più alto rispetto a quello previsto, in genere, per le innovazioni (fermi restando, naturalmente, i quorum costitutivi di cui all’art. 1136, primo e terzo comma, Codice civile).
Concetto d’innovazione Come può essere definita un’innovazione? Il Codice civile non fornisce definizioni delle “innovazioni”, lo fa, invece, la giurisprudenza come “le modifiche materiali o funzionali dirette al miglioramento, uso più comodo o al maggior rendimento delle parti comuni” (cfr. Cass. Civ. 12654/2006). Ne consegue che l’innovazione può concernere qualcosa di nuovo che prima non c’era, migliorativo di una precedente situazione, ovvero una cosa o un servizio comune già esistente. Innovazione, pertanto, non è da intendersi qualsiasi modificazione della cosa comune, ma soltanto una nuova opera che alteri l’entità materiale della cosa, nella forma e nella sostanza, e ne determini la modificazione della sua destinazione d’uso per favorire e aumentare la funzionalità ed il valore dell’edificio in condominio (cfr., fra le altre, Cass. sent. n. 8622 del 29.8.1998). È assente, quindi, dal concetto d’innovazione, il carattere di necessità che, viceversa, è insito in quello d’intervento manutentivo straordinario, che è finalizzato soltanto alla conservazione del bene condominiale e quindi alla garanzia d’uso e di godimento dello stesso da parte di tutti i condòmini.
Limiti alla proprietà esclusiva Quali sono i limiti alla proprietà esclusiva? Sono legittimi, ai sensi dell’art. 1102 del Codice civile, sia l’utilizzazione della cosa comune da parte del singolo condòmino con modalità particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione (purché nel rispetto delle concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri condòmini) sia l’uso più intenso della cosa, purché non sia alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, dovendosi a tal fine avere riguardo all’uso potenziale in relazione ai diritti di ciascuno. Detta norma consente al condòmino l’utilizzazione più intensa della cosa comune al servizio della sua proprietà esclusiva, purché ne sia consentito il pari uso agli altri partecipanti e non ne sia alterata la destinazione, sicché entro tali limiti è legittima anche l’imposizione di un vero e proprio peso sui beni condominiali a vantaggio del singolo appartamento o piano. ( da CN a cura di Flavio Saltarelli )
—
CONFEDILIZIA MESSINA