Cronaca

Caso Manduca, da rifare processo a giudici che non fermarono femminicida

E’ da rifare il processo d’appello ai giudici che non fermarono il femminicidio di Marianna Manduca, la donna di Palagonia uccisa nel dal marito, denunciato 12 volte.

Lo ha deciso la Corte di Cassazione che ha annullato la sentenza della corte d’Appello di Messina e inviato gli atti a Catanzaro, dove il processo di secondo grado ripartirà da zero. Ma soprattutto i figli non dovranno restituire i 259 mila euro riconosciuti loro inizialmente.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso degli avvocati Alfredo Galasso Licia D’Amico. I legali assistono Carmelo Calì, cugino di Marianna, che sta crescendo i tre figli orfani della donna donna e che ha chiesto alla magistratura il risarcimento per conto dei ragazzi.

In primo grado a Messina il Tribunale aveva dato loro ragione, con una sentenza storica che stabiliva la responsabilità civile dei giudici nel non aver agito a dovere per fermare Saverio Nolfo, marito di Marianna. La donna lo aveva denunciato tante e tante volte, dopo aver subito minacce e violenze di ogni genere.

La Corte d’Appello aveva poi ribaltato la sentenza, negando ai figli il risarcimento dei danni morali e parlando di “morte inevitabile”. La Procura generale presso la Corte di Cassazione aveva avallato la tesi, chiedendo la conferma di quel verdetto. La III sezione della Suprema Corte ha invece ribaltato il verdetto. Adesso su questo punto devono tornare a pronunciarsi i giudici di secondo grado.

Intanto la storia di Marianna è diventata uno dei simboli più significativi della lotto alla violenza sulle donne. La sua vicenda è stata raccontata da una fiction Rai ed è nata un’associazione che si batte per i diritti di tutte le donne e dei bambini, intitolata proprio “Insieme a Marianna”.

Mentre recentemente uno dei giudici d’appello che si è occupato del caso, estensore della sentenza al centro delle polemiche e oggi annullata dalla Cassazione, ha ricevuto inquietanti minacce. Un gesto che ancora non ha responsabili e che la famiglia di Marianna e l’associazione che porta il nome della vittima hanno condannato duramente, prendendone le distanze.