MESSINA – Sono un pugno allo stomaco le motivazione della sentenza di primo grado sul caso di Olga Cancellieri, depositate dal giudice dell’udienza preliminare Tiziana Leanza dopo il verdetto di condanna a 4 anni e 4 mesi per Lorenzo Sciabbà, il motociclista che quella tragica sera del novembre 2021 impattò con lo scooter di Olga nei pressi della chiesa di Santa Caterina. Perché nelle circa 20 pagine di motivazione la giudice ripercorre quegli ultimi istanti di vita dell’avvocata di 46 anni diventata caso simbolo della lotta contro i tagli al 118.
Attraverso le parole dei testimoni che si sono mossi tra la vicina chiesa e il ritrovo Il Narciso, in quel momento affollato, emerge tutto lo strazio di quei minuti: la frustrazione dei presenti che cercavano di darle aiuto, che chiamavano il 118 senza veder arrivare alcuna ambulanza. E la rabbia, che poco a poco montava tra i presenti, per quella lungaggine nelle operazioni di soccorso. Mentre Olga si spegneva, poco a poco, sotto i loro occhi.
Si scopre così che quella sera c’erano diversi medici presenti, che hanno tentato di fare qualcosa per Olga, senza però compromettere le sue già deboli condizioni, ma non hanno potuto essere utili e si sono chiesti, straziati, perché non arrivava un’ambulanza attrezzata.
“Sono un medico, esercito come fisiatra all’Ortopedico – ha raccontato una testimone – ho sentito un forte rumore tipico di uno spostamento di cassonetto e le bambine si sono avvicinate riferendo di aver visto cadere un motorino (…) Mi sono avvicinata alla ferita, una donna con una pozza di sangue in prossimità del cranio, credo plurifratturata agli arti inferiori (…) Mi sono chinata, ho tastato il polso e ho constatato la presenza del battito; l’ho chiamata ripetutamente, era incosciente ma respirava, anche se in modo irregolare (…) C’era un uomo che da come parlava ho presunto fosse un operatore sanitario o delle forze dell’Ordine…un mio collega…una mia conoscenza infermiera di sala operatoria… Ho notato il sopraggiungere dell’ambulanza e ho visto scendere i soccorritori, abbiamo chiesto se avessero degli strumenti per stabilizzarla, una spinale, un collarino, giusto per fare un minimo di soccorso ma questo riferiva che essendo volontari della Croce Rossa non disponevano di tali presidi (…).
Quando le condizioni della signora erano notevolmente peggiorate, quasi in arresto cardio circolatorio e il respiro era “in gasping”, giunse l’ambulanza del 118: scende da quest’ultima una donna ma ci viene riferito che erano soccorritori e non medici, trattandosi di ambulanza non medicalizzata. Personalmente ho accusato una sensazione di totale sconforto per la situazione che si era creata. Il collega ha chiesto se l’ambulanza fosse dotata di kit di intubazione ma gli veniva riferito di no. Hanno provveduto ad uscire la spinale e il saturimetro per rilevare i parametri vitali. In questo contesto sentivo più persone alle mie spalle chiamare i soccorsi e le forze dell’Ordine…”.
Dello stesso tenore i racconti degli altri presenti che più sono stati vicini al corpo di Olga, e che raccontano della rabbia che montava, intorno, per i ritardi dei soccorsi.
Un quadro desolante, che racconta della crescente difficoltà dei nostri presidi sanitari di salvare vite. Un quadro affatto scalfito dalle consulenze mediche che, dopo l’autopsia su Olga, hanno concluso che la donna era talmente grave che neppure l’ambulanza medicata avrebbe potuto salvarla. Perché Olga poteva essere meno grave e quell’intervento l’avrebbe forse strappata alla morte. Perché poteva toccare a chiunque. Come infatti è successo sempre più spesso: feriti gravi compromessi, morti in attesa che arrivasse un’ambulanza disponibile, deceduti sull’ambulanza dove mancava tutto il necessario. Ecco perché è nato Codice Bordeaux, il comitato di cittadini in prima linea nella lotta contro il depotenziamento della sanità pubblica e dei servizi di soccorso in particolare.
L’indagine sul capitolo soccorsi comunque è ancora aperta, sui tavoli della Procura di Messina. Malgrado le conclusioni del dossier medico, gli accertamenti hanno convinto il sostituto procuratore Marco Accolla, titolare del caso, a iscrivere nel registro degli indagati un medico del 118. L’obiettivo è approfondire una condotta che non torna, e il reato ipotizzato è interruzione di pubblico servizio.
Sciabbà invece, alla luce delle motivazioni del giudice, sta ora valutando l’appello col suo difensore, l’avvocato Giovanni Caroè, per chiarire la sua posizione.