Settore che non conosce crisi nella nostra Messina, il bar è sempre affollato. A tutte le ore costituisce un luogo in cui ci si sente a casa. Per la colazione, per una pausa, per il pranzo o l’aperitivo, il bar è casa tua. Neanche il boom delle macchine da caffè di design, con le capsule in oro zecchino conservate nel velluto, aromatizzate a alla brezza del Madagascar, riesce a sostituire il rito quotidiano del cosaprendi o chetioffro.
Sotto casa o vicino al posto di lavoro, il bar è l’inizio della nostra giornata, il luogo in cui noi Messinesi ci rendiamo conto di essere al mondo. In realtà, tutto quello che succede prima è pura inerzia, una serie di gesti compiuti a memoria. La sveglia vera non è quella che suona mentre siamo a letto, ma il familiare rumore dei piattini, dei cucchiaini e del vapore per schiumare il latte. É in quel momento che avviene la rivelazione di chi siamo, dove dobbiamo andare, cosa dobbiamo fare. Quando spolveriamo via lo zucchero a velo del cornetto precipitato sui nostri abiti, prendiamo atto di cosa abbiamo indossato. E mettiamo a fuoco il barista che diventa il nostro primo vero contatto sociale. Solitamente il bar della mattina è sempre lo stesso, figuriamoci dover ogni giorno chiedere lo zucchero di canna. Il barista di fiducia ti conosce meglio di chiunque altro. Ti chiama per nome o per titolo, sa quello che vuoi e come lo vuoi. Sa del tuo diabete, della tua intolleranza al lattosio, del tuo orrore per i bicchieri di plastica, della tua passione per la marmellata di albicocche. Lui sa, e questo ti rassicura, soprattutto di lunedì mattina.
Nonostante la maggior parte dei luoghi di lavoro si sia dotata di distributori automatici, macchine per espresso, frigoriferi, fornelli da campeggio, microonde e Cannavacciuolo in persona che prepara la parmigiana, niente soppianta la visita al bar, che in orario di ufficio, assume valenze liberatorie e catartiche, come fosse un mini cammino di Santiago. Il pellegrinaggio al bar è un diritto sancito dallo statuto dei lavoratori, la parte consuetudinaria e non scritta. Ci sono nostri concittadini che mostrano tanto fedele attaccamento a questo rituale, che considerano come “pausa” la parentesi di lavoro fra una capatina al bar e l’altra. Quando abbiamo un appuntamento in una struttura sanitaria, in banca o qualsivoglia ufficio e chiediamo del medico o funzionario di turno, potremmo sentirci dire dai colleghi: “è un attimo fuori stanza”. Si tratta di un’espressione tipica, con un significato ben preciso che può risultare di difficile comprensione ai non messinesi. La persona di nostro interesse non è corsa in bagno per un’impellenza, non è passata nell’ufficio del collega per portare i confetti della comunione del figlio, non è scappata a cambiare il gratta e sosta, né in farmacia per le pastiglie anti reflusso. È al bar, e noi abbiamo il dovere di nutrire rispetto e considerazione. E magari fingere di non sapere, quando, trafelata, si presenterà a noi con l’inconfondibile aroma di miscele arabiche addosso e le briciole sulla cravatta. Anche questo è spirito di comunità.
Il bar è luogo pulsante in cui si svolge la vita vera. Riunioni di lavoro, assunzioni, compravendite, assicurazioni, si concludono al bar, tanto che i locali più all’avanguardia stanno assumendo camerieri iscritti all’albo degli avvocati, per poter dare assistenza legale gratuita. I tavolini in questione sono facilmente individuabili. Gli avventori sono visibilmente tesi, ordinano con rammarico solo un caffè (figurati se puoi mai mantenere un’aria dignitosa e sicura mentre addenti la sfoglia alla ricotta), tirano fuori brochure, blocchi per appunti, mini tablet e rispondono malamente allo zingarello col bicchiere di plastica in mano che chiede una moneta per favore. E siccome quest’ultimo sarà pure povero ma mica fesso, si pianta là a dare il tormento fino a che qualcuno non gli staccherà un assegno in bianco.
I bar sono anche i principali scenari della nostra dimensione sociale. Basta fare un giro il sabato o la domenica mattina per capire che per noi, coltivare le amicizie è di importanza tale da parcheggiare in quarta fila in Via Garibaldi o in Via Cavour, fregandosene della mezza carreggiata che resta percorribile. Ma si sa, il traffico in qualche modo scorre, l’aperitivo con mio compare è per sempre. Tirando le somme, parliamo dell’unico luogo fuori casa tua, in cui puoi essere davvero te stesso. Leggi il giornale, rifletti sulla tua vita e i mali del mondo, scambi opinioni, prendi decisioni, rinsaldi amicizie. Il bar è vita nel senso più alto e più puro. Del resto quale frase ci trasmette più affetto, empatia e familiarità di: “Vieni, prendiamoci un caffè”.