“Si alza il vento”, l’ultimo lavoro di Hayao Miyazaki, racconta una riflessione sui sogni di gioventù e il confronto con gli orrori del proprio tempo.
Hayao Miyazaki è una miniera inesauribile di suggestioni: le sue storie hanno il potere di realizzare in immagine i sogni e le illusioni dell’infanzia, andando, però, al di là dei protagonisti e presentandosi come un racconto corale, in cui a parlare c’è una pluralità di presenze fantastiche. Nella principessa Mononoke, c’erano i kodame, gli spiriti della foresta, evanescenti figure che – al calare della sera – si alzavano nell’aria, dando forma al grande spirito del bosco; ne “Il mio vicino Totoro”, erano i nerini del buio,spiritelli della fuliggine che abitavano le intercapedini delle vecchie case, e visibili solo agli occhi dei bambini. Anche nel suo ultimo lavoro, “Si alza il vento” (verso tratto da “Le cimetière marin” di Paul Valery), Miyazaki anima la narrazione con tante piccole, guizzanti presenze. Non si tratta più, però, di emanazioni della natura, benevole o avverse, bensì di aeroplani che si intrecciano nel cielo, disegnando, talvolta, geometrie di fantasia, talvolta, di morte e distruzione.
“Si alza il vento” è la storia di Jiro, un bambino che sogna di volare ma che, a causa della propria miopia, sceglie di progettare aerei, proprio come l’ingegnere Gianni Caproni, suo mito ispiratore, una figura che per tutto il film accompagna il protagonista, apparendo solo ed esclusivamente nei sogni del ragazzo.
Nel sogno i due diventano figure intercambiali: la dimensione onirica diventa, dunque, il terreno comune in cui confrontarsi e nutrire le proprie fantasie, terra inviolata dalle avversità della vita. Fuori, infatti, imperversa la Seconda Guerra Mondiale e con essa il carico di putrefazione che da lì a poco porterà il Giappone all’umiliante epilogo. In questo aspetto, “Si alza il vento” è soprattutto un omaggio alla gioventù degli anni ‘30, una gioventù combattuta tra una speranzosa visione del futuro e l’oblio del presente, inghiottito nel vortice nero della guerra.
Stilisticamente il film riflette una rinnovata riflessione all’interno dell’opera del Maestro nipponico: le tinte tenui lasciano spazio a una miscellanea di colori caldi, roventi che rievocano primitive aurore australi, con il rosso, l’arancio e il giallo delle sere dentro cui si dissolve la figura del giovane Jiro e le esplosioni di colore nel cielo dei tragici bombardamenti.
Poi, come in ogni storia di Miyazaki, arriva un momento in cui irrompe in scena la forza distruttiva della natura che stravolge la quieta ordinarietà della vita per portare scompiglio e rinnovamento.
Si alza il vento, bisogna tentar di vivere.
Giuseppina Borghese