Le riunioni dei compagni di classe sono cose che notoriamente si preferisce evitare, ma Nathan Zuckerman (David Strathairn) torna a Newark, New Jersey, dopo molto tempo e decide di andare alla serata, forse per nostalgia. Incontra un vecchio amico, che gli racconta di essere in città per il funerale del fratello. Il grande Seymour Levov, detto “Svedese” è morto. Sembrava destinato ad avere una vita meravigliosa, era un vincente, eppure qualcosa lo aveva stroncato.
Seymour (Ewan McGregor) era l’eroe del football, si era arruolato nel ’44 (senza fare però nemmeno un giorno oltre oceano), aveva sposato Miss New Jersey, la bellissima Dawn (Jennifer Connelly), aveva ereditato la fiorente fabbrica di guanti del padre, aveva una villa-fattoria meravigliosa, e dopo il matrimonio una bellissima bambina, Merry. La vita non poteva essere migliore: era il sogno americano.
Ma i sogni si infrangono quando Merry (Dakota Fanning) diventa grande: già problematica da bambina perché balbuziente, da adolescente, con lo scoppiare delle rivolte studentesche per la guerra del Vietnam e l’apartheid, spinta dalle cattive amicizie o da dei desideri insiti nella sua natura, si trasforma in una ragazza inquieta e violenta, che vuole combattere contro le ingiustizie del mondo. Si trova in aperta opposizione con la madre, con la quale, forse, c’è una gelosia edipica; accusa i genitori per ogni inezia fino al punto in cui, distorcendo un consiglio di tranquillità paterno, mette una bomba in un ufficio postale, provocando la morte di una persona.
Merry sparisce, i poliziotti non la trovano, le tracce sono molto labili; sono anni di illusioni, di terrore e sospetti. Sono anni di sofferenza per i genitori e per il padre soprattutto, che col passare del tempo vede la sua figura di “eroe” andare in pezzi, ma questo non lo fermerà, anzi, il dolore sarà la spinta per trovare la sua “bambina”.
American Pastoral è tratto dal romanzo omonimo di Philip Roth; è l’esordio alla regia di McGregor, ma si può considerare un fallimento: il film è totalmente anonimo e non lascia gran ché allo spettatore, nemmeno nei momenti che dovrebbero essere commoventi. Niente a che vedere con l’adattamento di un altro romanzo di Roth, La macchia umana, eccezionale film del 2003 di Robert Benton.
Voto: 5/10.
Lavinia Consolato