Hollywood, anni ’50. Eddie Mannix (Josh Brolin), un fixer, un risolvi problemi della grande casa di produzione Capital Pictures Studio, supervisiona il lavoro di registi e attori, le loro vite lavorative, ma soprattutto private. Si sta girando un grande kolossal, un peplum sullo stile di “Ben Hur”, dal titolo “Ave, Cesare!”, in cui il grande divo Braird Whitlock (George Clooney) giganteggia e si fa conquistare dalla carismatica (giusto una povera comparsa) figura di Cristo. Sarà la più importante pellicola a tema religioso di tutti i tempi: Mannix manda addirittura a chiamare gli esponenti delle confessioni ebraico – cristiane per avere il beneplacito dei fedeli: se ne aprirà un grottesco dibattito teologico degno dello Scisma d’Occidente.
Ma un paio di comparse, misteriosamente, drogando la coppa di scena di Whitlock, rapiscono l’attore e chiedono in riscatto 100.000 dollari, firmandosi “Il Futuro”.
Nel frattempo una diva dei film acquatici, DeeAnna Moran (Scarlett Johansson) è incinta e non è sposata: Mannix le deve trovare una soluzione per nascondere questa gravidanza senza paternità: “Il pubblico ti ama perché sei innocente”. Un attore cowboy, Hobie Doyle (Alden Ehrenreich), incapace di parlare, viene vestito col frac e spostato in un film ingessato, facendone alterare l’elegante regista (Ralph Fiennes). Però forse tanto tonto non è: “Se guardi una comparsa negli occhi non sai mai cosa stia pensando”. Il mistero del rapimento è emblematicamente connesso al set in cui Burt Gurney (Channing Tatum) sta girando un musical vestito da marinaio.
Si scoprirà che una congiura di comunisti (e sceneggiatori sfruttati!) vogliono il riscatto per ribellarsi contro il grande esponente del capitalismo occidentale: Hollywood, la fabbrica dei sogni, retto da padroni schiavisti.
“Ave, Cesare!” è una commedia sottilmente brillante, dissacrante nei confronti di religione, politica, contro la macchina filmica stessa, autoironico verso sé stessi, i grandi fratelli Coen. Però sembra che gli anni abbiano sbiadito il forte colore dell’umorismo yiddish che si vedeva ai tempi di “Barton Fink – E’ successo ad Hollywood” (1991). Lo stesso che si commenta a proposito di Woody Allen.
Questa storia è intelligente, ma manca qualcosa, forse la sensazione di grottesco che in principio era più forte. C’è tanta spettacolarità, è la chiave centrale, così come è la natura di Hollywood: tutto è effimero, pura apparenza. È un film che gioca sulle comparse famose, come Tilda Swinton che interpreta due gemelle giornaliste di gossip; Frances McDormand, moglie di Joel Coen e grande attrice di “Fargo” (1996), uno dei capolavori dei fratelli Coen; Jonah Hill, ancora poco conosciuto, ma che ha avuto un ruolo di primo piano in “The Wolf of Wall Street” di Scorsese.
Pertanto, come ogni film dei Coen, va visto e apprezzato, ma anche comparato ai loro grandi successi, come i già citati “Barton Fink”, “Fargo” e “Il grande Lebowski”.
Voto: 7/10.
Lavinia Consolato