Gli interpreti de “Il lato positivo” e di “American Hustle”, Bradley Cooper e Jennifer Lawrence, sono di nuovo insieme in questo lungometraggio diretto da Susanne Bier, regista danese vincitrice dell’Oscar nel 2011, quale miglior film straniero, con “In un mondo migliore”. Il film è distribuito da “Eagle Pictures” ed il titolo in lingua originale è “Serena”, dall’omonimo romanzo di Ron Rash (entrambi i titoli sono però stati tradotti per noi come “Una folle passione”). Una coppia, dunque, affiatata di interpreti, anche se è mutato il genere e dalla commedia e dall’avventura si è passati a un film drammatico, il cui punto di forza dovrebbe essere l’introspezione, l’analisi, cioè, della sensibilità dei personaggi. L’ambientazione è fra le Colline (le montagne fumose) del North Caroline – riprodotte in realtà intorno a Praga, ove ne è stato ricreato uno spaccato – ed il precipitoso matrimonio di una coppia di belli e dannati, i Pemberton, che tentano di fondare un impero del legname, crea un vortice di crimini, direttamente compiuti o fatti perpetrare da altri inquietanti personaggi, quasi in stato di ipnosi indotta.
George Pemberton, con il socio-amico Buchanan, detiene un’azienda di disboscamento e l’arrivo di Serena, piglio autoritario e forte senso pratico, simile ad un uomo, suscita sentimenti contrastanti fra quei boschi ed in particolare la gelosia del socio del marito.
La presenza di questa donna androgina in un mondo tutto al maschile, non tarda a produrre i suoi effetti nefasti. Jennifer Lawrence è piuttosto sottotono e anche mentre scivola nell’ossessione più cieca non riesce a far evolvere il suo personaggio.
La “femme fatale” presenta i caratteri tipici delle donne maledette dei noir americani, torbida e doppia qual è, capace di essere in uno bimba innocente e sirena provocante e di generare la morte ripetutamente fino alla finale tragedia che è quasi una resa dei conti anche con il rispettivo passato dei due coniugi e di certo è molto teatrale.
Detto questo la sceneggiatura di Christopher Kyle, con reminescenze della tragedia classica (“in primis” Lady Macbeth) ma intrisa del linguaggio dei montanari, è impeccabile, la fotografia e la scenografia perfette, la musica avvincente, la resa attoriale convincente, sulla regia non si possono scovare pecche, ma il prodotto finale non rende quanto la somma delle componenti. Qualcosa non torna e l’opera cinematografica non riesce a coinvolgere del tutto. Eppure la grande depressione del 1929 è resa magistralmente, come quell’unione minacciata quasi subito dalla crisi emotiva di lei (derivante dalla perdita del figlio atteso e dalla tragica scoperta di non poter avere altra prole) che degenera ben presto e la fredda ed insieme ardente psicosi della donna precipita i protagonisti in un baratro ben confezionato. Serena, dai tormentati ieri, non è affatto “serena” e certo i suoi occhi fissi e sbarrati, mentre non riesce a celare la rabbia che cova nei confronti del figlio illegittimo del marito, rimangono ben impressi, unitamente all’“ingenuo” suo ricorrente alibi di voler salvare la loro unione quale contraltare dei tanti misfatti compiuti o orditi.
Allora perché all’uscita dalla sala non esce spontaneo l’elogio e si deve quasi sospendere il giudizio?
Il melò in costume appare spento, non seduce, appassiona poco, i due protagonisti si mostrano troppo individualisti, racchiusi come monadi in universi singolari; presenza troppo evanescente è poi quella di Ana Ularn, ex del marito. Il personaggio del montanaro Galloway, ex galeotto, è invece interpretato in modo inquietante da un ottimo Rhys Ifans.
Tosi Siragusa