“Questo non è un film sull’immigrazione, è un film sull’Africa” ha spiegato, rimarcando la differenza, il regista Pasquale Scimeca agli spettatori del suo Balon, proiettato presso il cinema Apollo come iniziativa aggiunta alla stagione del Cineforum Don Orione.
Scimeca, sessantaduenne originario di Aliminusa in provincia di Palermo, ha all’attivo una ricca produzione cinematografica. Dopo l’esordio con La donzelletta, avvenuto nel 1989, ha diretto più di venti lungometraggi, tra cui probabilmente il più famoso è Placido Rizzotto, uscito nel 2000.
Le ondate migratorie, pur non essendo il tema principale di Balon, ne hanno influenzato la genesi. “Come credo sia capitato a tutti, ho riflettuto molto sul fenomeno. La domanda fondamentale, a riguardo, tende a essere la stessa: perché queste persone lasciano tutto, e affrontano un viaggio infernale, per arrivare da noi? Per rispondere, ho dapprima parlato direttamente con tanti ragazzi africani, in modo da conoscere le loro storie, ma poi ho capito che non bastava, che bisognava andare in Africa. È lì che nasce tutto, è necessario conoscerne la realtà prima di tutto per comprenderla, e poi, da narratore, per raccontarla. Siamo stati in villaggi dove manca davvero tutto. Non c’è la corrente, non c’è il gas, quando si rompe il pozzo si deve andare a prendere l’acqua al fiume, non ci sono medici né medicine, si mangia pochissimo, e una sola volta al giorno, con una scodella di riso e un po’ di condimento, se si riesce a trovarlo. Eppure, la gente non vive in maniera costantemente dimessa come si potrebbe credere, anzi, la vita si svolge tranquillamente, a volte anche in modo allegro, se non intervengono tragedie. Il pericolo più drammatico è costituito dalle bande di predoni”.
I predoni sono anche coloro che, all’interno del film, danno il via alla trama. All’inizio ci troviamo in un villaggio della Sierra Leone dove, come anticipato dal regista, si vive in un regime di povertà assoluta: una semplice pentola sembra l’elemento più tecnologico di tutto l’ambiente, si gioca a calcio con un pallone di plastica e quando questo finisce tra i rovi il divertimento finisce, si dorme per terra, si va a scuola in una capanna. Non mancano però i sorrisi, e tutti sembrano capire l’importanza proprio della scuola. Con effetto drammaticamente opposto, anche i predoni, quando arrivano, si concentrano sulla scuola, e gridando No school! No instruction! uccidono il maestro, e in seguito tutti gli abitanti del villaggio. Riescono a fuggire solo il piccolo Amin e la sorella quindicenne Isokè. I due seguono l’indicazione del nonno di raggiungere la Svezia, dove si è già recato un loro parente, e pur non avendo neanche lontanamente idea di dove si trovi la Svezia, si mettono in marcia. Dopo una marcia sfiancante, si troveranno davanti l’insidia di dover attraversare il mediterraneo. Ancora una volta, lo spettatore scoprirà che il vero nemico non è la natura, ma l’uomo, che si conferma una volta di più homini lupus. Impossibile non avvertire i brividi davanti alle violenze, fisiche e morali, perpetrate dagli schiavisti. Di fortissimo impatto la scena in cui le persone che aspettano di imbarcarsi, e che vivono rinchiuse in una cella, dopo il suicidio di una loro compagna di sventura si rivolgono ai carcerieri – ma di fatto fissando gli spettatori – gridando Please, help us! We want to live!
Quando si vuole raccontare qualcosa di importante, qualcosa a cui si è sensibili, il rischio della retorica non è lieve, ma Scimeca lo evita con maestria, grazie anche alle numerose esperienze nel campo documentaristico maturate in passato. Balon, pur insegnando qualcosa – anzi, tantissimo – è anche un puro road-movie, durante il quale i protagonisti incontrano vari personaggi – non solo negativi – e che tiene lo spettatore col fiato in sospeso.
“Il mio invito è vedere il film con gli stessi occhi con cui io l’ho realizzato, senza pregiudizi” aveva concluso Pasquale Scimeca prima che proiezione iniziasse, “Il suo intento è cercare di stimolarci tutti a capire cosa sta succedendo, perché se capiamo cosa succede in Africa, guarderemo con occhi diversi ai migranti, a chi riesce ad arrivare qua. Sapere cosa li ha spinti ad affrontare un viaggio spaventoso, fatto in condizioni terrificanti, arricchisce davvero la nostra prospettiva. Inoltre, questo non è solo un film, ma anche un progetto, infatti con gli incassi del film torneremo nel villaggio che ci ha ospitato per ricostruire la scuola e il pozzo, e creare un minimo di assistenza sanitaria, perché troppi bambini muoiono per malattie banali, che invece potrebbero essere tranquillamente curate”.