La mattina di lunedì scorso, quando ancora poco o nulla trapelava dal Policlinico e dagli investigatori e non erano stati allestiti i tendoni per il circo mediatico, ci siamo confrontati con i colleghi di redazione per capire se fosse giusto o meno dare il nome della vittima o solo le iniziali. Da giornalisti ci siamo interrogati per almeno mezz’ora se fosse opportuno o deontologico dare il nome della vittima. Lo abbiamo pubblicato dopo una lunga riflessione e non a cuor leggero.
Da lì a poche ore Ylenia invece imperversava nelle tv nazionali, da Sky Tg 24 a Canale 5, mostrando i tatuaggi e giurando che Alessio era innocente. La mattina dopo, martedì, il primario Stagno D’Alcontres, alla folla di giornalisti che attendevano davanti al reparto dichiara che Ylenia non avrebbe più rilasciato interviste. Nessuno ha avuto il minimo dubbio che non si era trattata di una decisione dettata da saggezza o esigenze investigative. Nessuno ha avuto dubbi che di lì a poco Sua Maestà del dolore, la Regina dei filtri luce che in onda sembra circondata da un’aureola di santità, al secolo Barbara D’Urso, aveva già ottenuto l’esclusiva. Ed infatti il mercoledì pomeriggio il Policlinico, grazie alla “trasmettittrice con le palle” (come l‘ha definita Ylenia in un momento di estasi), è stato trasformato in un circo mediatico. Alla fine davanti alla telecamera rimasta accesa si è visto il via vai di visitatori al punto che non si è capito più se era un ospedale o la hall di un albergo.
Di fronte a quanto accade quotidianamente in trasmissioni come Pomeriggio 5, è unanime il giudizio sulla fine del giornalismo, sull’abisso dell’ infotainment, che è un ibrido tra spettacolo ed informazione e non ha regole né confini. Sull’altare dell’audience e del denaro che ne deriva tramite la pubblicità, TUTTO è sacrificabile.
Sui social, dopo la trasmissione, è stata una levata di scudi di persone indignate “mi vergogno di essere messinese”. In realtà il contesto in cui è vissuta Ylenia è simile a quello di centinaia di altri quartieri disagiati d’Italia.
Tutti si sono soffermati sull’italiano sgrammaticato dimenticando il resto. Invece a mio giudizio il resto è di gran lunga più allarmante del lessico sgrammaticato.
Supponiamo che fosse andata in onda un altro tipo di ragazza, meno “folcloristica” e avesse detto: “Buon pomeriggio a tutti i telespettatori, ringrazio la conduttrice che seguo quotidianamente con molta stima ed apprezzamento. Ritengo, dottoressa D’Urso, che possa essere probabile che le indagini possano portare ad un altro esito giudiziario. Del resto non si è colpevoli se non fino al terzo grado di giudizio e nel nostro Paese vige il principio della presunzione d’innocenza. Sappia, stimabile conduttrice, che ho dato incarico ad uno dei migliori legali di tutelarmi anche nei confronti dei miei familiari che hanno da sempre avversato il mio rapporto con Alessio, un po’ come avvenne con Romeo e Giulietta. Alessio è innocente e lo dimostreremo. Piuttosto dovreste approfondire le tematiche relazionali dell’ambiente in cui sono cresciuta prima di dare giudizi affrettati”.
Un simile discorso avrebbe fatto colare a picco l’audience, 18 strati di fondotinta della D’Urso e tre quarti del suo ingaggio. Ma sui social nessuno avrebbe scritto che si vergognava di essere messinese e la cosa sarebbe finita lì.
Il problema non è quello che ha detto: è il NON DETTO. Il problema non è il congiuntivo sbagliato, è il meccanismo che scatta quando c’è la violenza.
Sta tutto in quelle frasi: “non è stato lui. Quando litighiamo anche io sono violenta”. Il problema sta tutto nella giustificazione della violenza. In quella difesa c’è il non detto: “è anche colpa mia. Sono io sbagliata”.
L’altra faccia della medaglia è la frase agghiacciante della D’Urso: “ci sono uomini che sono violenti per troppo amore”.
Quindi la frase completa del meccanismo è: lui è violento per troppo amore, io non lo capisco, quindi è colpa mia. Sono io sbagliata, lui è innocente.
Invece no. L’amore non è mai troppo e non è mai mai mai mai mai mai mai mai mai mai violenza. L’amore è “solo” amore perché non lascia spazio ad altro se non al tutto e lo racchiude in sé.
Dice Maria Andaloro che ci sono responsabilità sociali che ci riguardano tutti. Ylenia è nostra vittima: continuiamo a giudicarla perché è diversa da noi. Diversa perché dice in diretta che lei è amica di “gay, ricchioni e trans” e picchiava Alessio quando litigavano, diversa perché non azzecca i congiuntivi (ma quanti politici li azzeccano??), diversa perché non vede l’ora di andare in studio a Canale 5, perché dice stronza a sua madre davanti alle telecamere, perché è cresciuta sognando di partecipare a Uomini e donne. Diversa perché nata in un contesto diverso dal nostro.
Invece siamo noi che l’abbiamo portata là, sotto i riflettori, quando non ci accorgiamo di come in alcuni contesti la dispersione scolastica è altissima e le politiche sociali sono ancora solo parole vuote. Ma c’è una cosa che la rende UGUALE A TUTTE NOI, noi che abbiamo “le scuole”, noi che pensiamo che se dovesse toccare a noi andremmo a denunciarlo, noi che definiamo trash Pomeriggio 5. “E’ colpa mia, non è stato lui”, non lo dice solo Ylenia, lo pensano molte altre donne. Laureate, affermate, libere professioniste.
Ecco perché dobbiamo guardare quello show da spettatrici.
Non sappiamo quante giovani abusate, mercoledì, vedendo quel siparietto hanno pensato: “non devo denunciarlo, sono io sbagliata a volerlo denunciare. Ha ragione la D’Urso, se mi fa del male è perché mi ama troppo”. Quante hanno pensato: “meglio stare zitta”. O quanti giovani si sono immedesimati in Alessio.
Quello che mi ha spaventato è stata l’universalità di Ylenia e del circo mediatico che ha trasformato una corsia d’ospedale in un set di telenovela.
Barbara D’Urso è la stessa che il mercoledì ospita Ylenia e la storia del sedicenne che massacra i genitori e la domenica i figli di papà miliardari del reality Riccanza che raccontano in un pessimo italiano (lo stesso di Ylenia) come bruciano milioni di euro mentre i loro coetanei fanno la fame.
Abbiamo la responsabilità sociale di un circo che ha sostituito con la tv gli spettacoli al Colosseo con i cristiani e i gladiatori. Un tempo c’erano i leoni e i gladiatori, oggi ci sono le Ylenia, le trasmettitrici, ma gli applausi del pubblico sono gli stessi.
Mentre Ylenia sbagliava i congiuntivi l’abbiamo detestata perché ci faceva fare la figura dei messinesi ignoranti.
Nessuno ha saputo ascoltare l’unica frase sgrammaticata che non ha detto: ho stata sbagliata io.
E’ lì che comincia e finisce la violenza.
Rosaria Brancato